Corte di cassazione penale, sez. I, 12 maggio 2023 n. 20337 ud. del 7 marzo 2023 Presidente Vincenzo Sian
Corte di cassazione penale, sez. I, 12 maggio 2023 n. 20337
ud. del 7 marzo 2023
Presidente Vincenzo Siani; Ricorrente Omissis contro Omissis
Ritenuto in fatto
1. La Corte di assise di appello di Palermo ha confermato la sentenza con cui la Corte di assise della stessa città ha condannato F. A., A. A., S. I. e A. I. per il delitto di concorso nell'omicidio di V. F., avvocato del Foro di Palermo, che veniva ripetutamente e violentemente colpito alla testa e in altre parti del corpo con un bastone, con gravissime e irreversibili lesioni che ne determinavano il decesso pochi giorni dopo.
Il fatto fu commesso in Palermo il 23 febbraio 2010, con morte della vittima il 26 febbraio successivo.
Per F. A. è stato riconosciuto il ruolo di mandante, specificamente con il compito di sovraintendere alla organizzazione dell'agguato; per gli altri invece è stato affermato il ruolo di partecipe con compiti differenti.
Nei confronti di F. A., S. I. e A. I. è stata applicata l'attenuante di cui all'art. 116, comma secondo, cod. pen. e nei confronti soltanto di A. I. l'attenuante di cui all'art. 416-bis.1, comma terzo, cod. pen.
A F. A. è stata irrogata la pena di anni ventiquattro di reclusione, ritenuta la subvalenza della recidiva e dell'aggravante di cui all'art. 112 n. 2 cod. pen. rispetto all'attenuante di cui all'art. 116 cod. pen.; ad A. A. la pena di anni trenta di reclusione a S. I. la pena di anni ventidue di reclusione; ad A. I. la pena di anni quattordici di reclusione.
2. Il fatto in contestazione è consistito nella brutale aggressione portata nella tarda serata del 23 febbraio 2010 contro l'avvocato V. F., noto professionista palermitano, ex parlamentare e docente universitario.
In una prima fase fu emessa ordinanza di custodia cautelare nei confronti dei menzionati imputati ma successivamente, in assenza di univoci sviluppi investigativi, il relativo procedimento fu definito con archiviazione.
In un secondo momento le indagini furono riaperte grazie alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia F. C., intraneo alla famiglia mafiosa di (omissis), che però non furono ritenute affidabili.
Esse prima chiamarono in causa S. I. e A. I. quali autori materiali dell'aggressione e poi, invece, attribuirono tale ruolo a F. C. e P. C., affidando così ai primi due il semplice ruolo di schermare la scena, cautelando e proteggendo gli esecutori materiali.
3. Appena dopo l'emissione del decreto di giudizio immediato, alle prime battute del dibattimento, intervenne la collaborazione, con dichiarazioni auto ed etero-accusatorie, di A. I., che chiamò in correità A., A. e I.. All'esito del giudizio di primo grado A. fu riconosciuto esecutore materiale della brutale aggressione, consumata con un bastone di legno o con altro analogo strumento, gli altri furono condannati per i ruoli prima indicati, e i coimputati P. C. e F. C. furono assolti ai sensi dell'art. 530, comma 2, cod. proc. pen.
4. L'aggressione fu deliberata nell'ambito dell'organizzazione mafiosa "Cosa nostra" per impartire una punizione all'avvocato F., ritenuto responsabile di aver assunto in procedimenti penali per reati di mafia posizioni contrarie agli interessi di detta organizzazione, inducendo i propri assistiti ad iniziare un F. rapporto collaborativo con l'Autorità giudiziaria.
Secondo quanto riferito da A. I., fu A. a dire che bisognava dare colpi di mazza all'avvocato F. in quanto così voleva G., ossia G. D. G., al tempo capo del mandamento di Porta Nuova, nel cui ambito ricadeva la famiglia di (omissis), diretta appunto da A..
5. Le dichiarazioni auto ed etero-accusatorie di Antonio I. sono state ritenute attendibili e riscontrate da una pluralità di dati oggettivi.
In funzione di riscontro sono state utilizzate anche le dichiarazioni di due collaboratori di giustizia, S. B. e A. L..
6. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso i difensori di F. A., S. I. e A. A..
7. I difensori di F. A. hanno articolato più motivi.
7.1. Con il primo motivo hanno dedotto difetto di motivazione in riferimento al giudizio di attendibilità sulle dichiarazioni del coimputato I., con particolare riferimento a quanto da lui raccontato a proposito del presunto ruolo rivestito da F. A..
Il dichiarante ha in un primo momento escluso il coinvolgimento nel fatto criminoso di F. A. e poi ha ammesso di averlo deliberatamente tenuto fuori, accusandolo a circa otto mesi di distanza.
Non si è fatto scrupolo di mentire al fine di essere valutato alla stregua di un collaboratore attendibile da parte del pubblico ministero.
Nel racconto accusatorio è incorso in una quindicina di contraddizioni rispetto alle precedenti versioni.
Una contraddizione lo ha costretto ad ammettere di aver mentito, nelle precedenti dichiarazioni, in ordine alle modalità e ai tempi di occultamento dell'arma del delitto, sempre al fine di accreditarsi come collaboratore affidabile.
A giustificazione di una simile progressione dichiarativa la Corte di appello ha reso una motivazione totalmente illogica e travisante il portato dichiarativo dibattimentale.
Sono mere illazioni le considerazioni in ordine alla pretesa genuinità della decisione di collaborare e alla incostanza dichiarativa sul coinvolgimento di F. A., che hanno condotto ad eludere il rilievo difensivo per il quale il collaboratore modulò le dichiarazioni adeguandosi all'interesse investigativo, verosimilmente alimentato dalle ragioni di astio verso F. A. per via della relazione extraconiugale di questi con sua moglie. Sono poi internamente contraddittorie le argomentazioni di sentenza in merito alla mancanza di qualsiasi specifico affiato accusatorio nelle dichiarazioni del collaboratore nei confronti di F. A., invero poste a fondamento della condanna.
La Corte di assise di appello non ha argomentato, al pari del giudice di primo grado, in ordine alle numerose contraddizioni e ai numerosi profili di incostanza dichiarativa emersi nel corso dell'esame dibattimentale del dichiarante, dall'orario in cui i correi si ritrovarono in via dello Spezio e iniziarono a programmare il delitto, alla individuazione del mandante della spedizione punitiva, alla precisa indicazione temporale della telefonata che I. disse di aver fatto allo studio F., al ruolo attribuito a C., e ad altro ancora.
L'intrinseca inaffidabilità del narrato del I. è ulteriormente dimostrata dai termini in cui ha riferito la sua partecipazione al fatto.
Si tratta di una versione totalmente inverosimile e non riscontrata dalle dichiarazioni dei diversi testimoni oculari.
Ciò nonostante, la Corte di assise di appello ha rigettato la richiesta di rinnovazione istruttoria per un nuovo esame dei testimoni oculari, benché si sia dato atto che nessuno di costoro vide sui luoghi la autovettura indicata da I. e men che meno si avvide della rocambolesca manovra di uscita dal parcheggio, a lisca di pese, in retromarcia, con chiusura al volo dello sportello lato passeggero e immediata ripartenza, che I. riferì di aver compiuto non appena accortosi che il correo A., invece di salire sulla sua autovettura per la fuga, si determinò a montare in sella allo scooter con il quale era arrivato sul luogo del delitto insieme a S. I..
7.2. Con il secondo motivo hanno dedotto difetto di motivazione.
La Corte di assise di appello è incorsa in evidenti illogicità e travisamenti del dato probatorio nell'assumere come riscontro al narrato accusatorio di I. le dichiarazioni del collaboratore S. B., che ha effettuato una chiamata in reità de relato mentre il teste di riferimento, Giuseppe A., escusso in dibattimento ne ha smentito le dichiarazioni.
Ha superato con motivazioni illogiche il fatto che B. ha chiaramente riferito di un ruolo esecutivo di A. e ha narrato di una fase preparatoria, un pedinamento della vittima, di cui non si rinviene alcun riferimento nel narrato di I..
Ma, ancor di più, B. ha riferito del coinvolgimento nel fatto di sangue di una persona ad esso del tutto estranea, tale Pieruccio C., reiteratamente individuato, secondo il B. dallo stesso A., nel cognato di Angelo Casano.
Si è di fronte ad un rilevante elemento che mina l'attendibilità del dichiarante, indice della propensione ad attribuire ad A. informazioni frutto di rimasticature di notizie di fonte giornalistica e di pura fantasia.
La Corte di assise di appello ha poi trascurato, ancora una volta superando con motivazione illogica il rilievo difensivo, che quanto narrato da B. in ordine alla commissione di una serie di estorsioni in ambito mafioso unitamente ad A. non ha trovato riscontro, perché A. non è mai stato sottoposto a processo.
Per quanto poi attiene alla estorsione specificamente menzionata dal collaboratore, quella all'imprenditore C., la sentenza del relativo processo, acquisita agli atti, ha smentito il racconto del collaboratore.
Con ordinanza carente di motivazione la Corte di assise di appello ha respinto la richiesta di rinnovazione istruttoria per l'assunzione della testimonianza dello stesso Ceravolo.
La Corte di assise di appello ha omesso ogni notazione critica in merito alla oggettiva vaghezza e genericità degli apporti dichiarativi del collaboratore A. L. in relazione alla fonte delle presunte informazioni.
La fonte di riferimento, per quel che attiene alla posizione di A., è P. C., che non soltanto aveva l'interesse di protestare al supposto confidente, L., la propria estraneità al delitto, ma che avrebbe potuto avere acrimonia nei confronti dei coimputati.
Non v'è stato alcun approfondimento in merito alle modalità e alle circostanze, di tempo e di luogo, in cui C. avrebbe potuto apprendere le notizie, asseritamente riportate al L., da parte del suocero I..
Sono state utilizzate le dichiarazioni con cui A. L. ha riferito quanto appreso nelle cellette di transito all'interno del Tribunale di Palermo da una conversazione tra il proprio padre F. L. e P. L. in ordine al fatto che mandante dell'omicidio de quo era stato G. D. G. e corresponsabili dello stesso F. A. e A. A..
Occorre puntualizzare che il collaborante non ha riferito di aver orecchiato una discussione ma ha detto di essere stato destinatario di confidenze, alla presenza di L., da parte del proprio padre.
Il narrato si caratterizza, pertanto, come dichiarazione indiretta, con tutte le conseguenze del caso.
Peraltro, F. L. ha chiarito che le sue informazioni provenivano da C., coimputato di A., e quindi sarebbe stato lecito chiedersi quale fosse la genesi delle sue conoscenze, se la lettura delle carte processuali o altro.
Una corretta ricostruzione temporale della vicenda dell'incontro tra C. e F. L. porta ad escludere che C. abbia mai fatto ingresso nelle celle di stazionamento del Tribunale e che in ogni caso, se ciò fu, la permanenza fu di qualche minuto appena.
Quanto al movente, il processo e quindi la sentenza patiscono la carenza di accertamenti di riscontro alla veridicità del riferito movente, da ricondursi alle strategie difensive dell'avv.to F. propenso a indurre i suoi assistiti alla collaborazione con l'Autorità giudiziaria.
Infine, l'esame del traffico telefonico della moglie di A. I., che aveva una relazione sentimentale con F. A., non può essere usato in termini di riscontro, affermando che la sera del fatto, siccome non riusciva a mettersi in contatto telefonico con il coniuge, a cui doveva comunicare di occuparsi del figlio minore perché lei era impegnata sul posto di lavoro, chiamò A. e poi anche A., e ciò perché era stata informata da I. che quella sera gli sarebbe servita l'autovettura "perché aveva cose da fare unitamente ad I., T. A. ed A.".
7.3. Con il terzo motivo hanno dedotto vizio di violazione di legge e difetto di motivazione per mancato approfondimento critico in ordine alla rilevanza causale della condotta in imputazione e in specie alla idoneità ad atteggiarsi come contributo concorsuale. È la stessa sentenza a dare come fatto non controverso che, al momento del presunto arrivo di A. in via (Omissis) ove si trovavano i presunti correi, A. avesse già ricevuto l'ordine di compiere il pestaggio. Dunque, non si è trattato di concorso come mandante e l'attribuzione del ruolo di supervisore o sovrintendente del fatto, operato dalla sentenza, è il portato di una inferenza giudiziale, non direttamente implicata dalle dichiarazioni del collaboratore e quindi priva di fondamento. Peraltro, tale ultimo ruolo non assume i contorni del contributo concorsuale e non corrisponde a quanto indicato in imputazione.
Altro profilo critico è costituito dalla ravvisata sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 112 n. 2 cod. pen., fondata sul presupposto che avrebbe svolto un ruolo direttivo invero insussistente e comunque contraddittoriamente motivato.
7.4. Con il quarto motivo hanno dedotto vizio di violazione di legge e difetto di motivazione in punto di insufficiente individuazione del coefficiente psicologico suscettivo di comportare, ai sensi dell'art. 116 cod. pen., l'effetto estensivo della punibilità in relazione all'evento non voluto dal concorrente nel reato.
La sentenza ha sottovalutato il tema della prevedibilità in concreto del diverso decorso causale intrapreso, per esclusiva responsabilità dell'esecutore materiale, dalla vicenda, e dunque per la sottovalutazione del positivo riscontro della colpevolezza in capo al ricorrente per l'evento non voluto in termini, quanto meno, di responsabilità colposa.
7.5. Con il quinto motivo hanno dedotto vizio di violazione di legge e difetto di motivazione in punto di omessa qualificazione del fatto come omicidio preterintenzionale.
La sentenza impugnata, sì come quella di primo grado, non ha preso definitivo partito in ordine al preciso atteggiarsi del foro interno dell'agente, il coimputato A., oscillando tra la figura del dolo alternativo e quella del cd. dolo eventuale.
La Corte di assise di appello avrebbe dovuto prendere in considerazione l'ipotesi di un errore esecutivo nella commissione del fatto e farsi carico della irragionevolezza della tesi accolta, ossia di un repentino mutamento di obiettivi e proposti dell'assalitore.
7.6. Con il sesto motivo hanno dedotto difetto di motivazione in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio, diniego delle attenuanti generiche e del contributo di minima importanza e riconoscimento dell'aggravante di agevolazione mafiosa.
8. Il difensore di S. I. ha articolato più motivi.
8.1. Con il primo motivo ha dedotto vizio di violazione di legge e difetto di motivazione.
La Corte di assise di appello ha fatto malgoverno dei criteri di valutazione della prova nell'esame del profilo di attendibilità intrinseca delle dichiarazioni di I. e non ha considerato l'assenza di riscontri individualizzanti alla chiamata in correità, dal momento che non v'è prova, a differenza di quanto affermato in sentenza, della presenza di S. I. nel corso del colloquio captato il 23 febbraio 2010 alle ore 19,09, di cui ha detto il collaboratore I..
8.2. Con il secondo motivo ha dedotto vizio di violazione di legge e difetto di motivazione in punto di omessa qualificazione del fatto in termini di omicidio preterintenzionale.
Non è dubbio che il ricorrente, siccome la finalità dell'azione era di dare una lezione alla vittima, potette prevedere l'evento morte solo quale conseguenza del reato di lesioni personali e ciò a prescindere dall'elemento soggettivo attribuito dalla sentenza impugnata ad A., coimputato esecutore materiale.
8.3. Con il terzo motivo ha dedotto vizio di violazione di legge e difetto di motivazione in punto di diniego delle attenuanti generiche, dal momento che l'evento morte non costituì oggetto di volizione del ricorrente.
La Corte di assise di appello non ha spiegato le ragioni per le quali precedenti penali e movente della condotta abbiano impedito una mitigazione del trattamento sanzionatorio.
9. Il difensore di A. A. ha articolato più motivi.
9.1. Con il primo motivo ha dedotto vizio di violazione di legge e difetto di motivazione.
Un primo profilo di illegittimità della sentenza attiene al giudizio sulla credibilità del collaboratore I..
Le critiche alla sentenza impugnata sono sovrapponibili a quelle svolte con il primo motivo di ricorso di F. A..
Un secondo profilo di illegittimità è costituito dalla valutazione sulla sussistenza dei riscontri esterni individualizzanti a carico di A. A..
Non sono riscontri con efficacia individualizzante:
-la dedotta frequentazione di locali di via (omissis).
Anche a voler ritenere provata l'assidua frequentazione di I. dei locali di via (omissis) in un periodo successivo all'omicidio, ciò non riscontra la presunta presenza di A. il giorno 23 febbraio 2010 quando veniva captata, a cornetta aperta, la conversazione delle ore 19,09 del giorno del fatto tra I., I. e un terzo conversante con riferimenti, a giudizio della sentenza impugnata, al fatto delittuoso che si stava organizzando per quella sera;
- la telefonata delle ore 18.47 del giorno dell'aggressione da una cabina telefonica pubblica all'utenza dello studio professionale dell'avv.to F., fatta da I. per sincerarsi dell'orario di chiusura dello studio;
- la già menzionata intercettazione a cornetta aperta delle ore 19.09.
La voce del terzo conversante non è mai stata identificata, con perizia o consulenza, in quella di A..
Il riscontro alle dichiarazioni di I. sarebbe lo stesso I., con palese circolarità del riscontro medesimo;
- l'intercettazione delle ore 20,08 tra I. e A., perché quanto riferito dal primo, ossia che A. lo sollecitò a far presto, a raggiungere in breve tempo il luogo della programmata aggressione, trova ancora una volta conferma nelle stesse dichiarazioni di I., con inaccettabile circolarità del riscontro.
Allo stesso modo non può fungere da riscontro il tentativo di chiamata da parte della moglie di I. ad A. delle ore 21,29, che questa avrebbe fatto nel tentativo di contattare il marito che sapeva essere in compagnia di A. e di A.;
- l'incendio dei cassonetti dei rifiuti urbani di (omissis) che I. ha dichiarato esser stata opera sua, unitamente ad A. ed I., per far sparire l'arma del delitto, che lì avevano giorni prima gettato, non appena seppero che l'avv.to F. era deceduto.
Ancora una volta è solo I. ad affermare che A. fu presente sia al momento del deposito della mazza all'interno del cassonetto sia al momento di incendio dello stesso.
Non fungono da riscontro neanche le dichiarazioni degli altri collaboratori, B. e L., illogicamente valutate, al pari del resto alle dichiarazioni dei testimoni presenti all'aggressione.
Costoro non hanno confermato la ricostruzione della vicenda come consegnata da I..
9.2. Con il secondo motivo ha dedotto vizio di violazione di legge e difetto di motivazione in riguardo alla negata derubricazione.
La dinamica dell'aggressione, per la quale i colpi al capo furono inferti dopo la caduta a terra della vittima non trova alcun oggettivo riscontro in atti e deriva soltanto da un ragionamento congetturale ed ipotetico.
È allora illogica la motivazione che ha definito il ruolo dell'aggressore nell'alveo del dolo alternativo o, quantomeno, in quello eventuale, perché è inverosimile che A., presuntivamente designato a compiere l'aggressione per contro di esponenti più alti in grado nell'associazione mafiosa, abbia travalicato l'ordine, che era soltanto di dare legnate e non certo di uccidere.
Considerato in diritto
1. Il ricorso di F. A. non merita accoglimento, per le ragioni di seguito esposte.
2. La Corte di assise di appello ha reso una motivazione articolata, attenta e puntuale in ordine al giudizio di attendibilità di A. I.. Ha preliminarmente, e molto opportunamente, escluso la sussistenza di intenti di autocalunnia e ha osservato, con logicità di rilievo, che le prime dichiarazioni confessorie furono rese all'indomani dell'emissione del decreto di giudizio immediato, ricordando che in quel momento la piattaforma probatoria si incentrava sulle dichiarazioni di C. e che proprio I., per la sua diretta partecipazione al fatto criminoso, aveva tutti gli strumenti per valutare di quel complesso probatorio la debolezza, sì che la sua decisione di render confessione cadde in un momento in cui il processo nei suoi confronti ben poteva avere un esito incerto e a lui favorevole.
La forza logica del rilievo non è smentita dal fatto che era stato emesso il decreto di giudizio immediato che, per quanto trovi causa nella evidenza della prova, apre fisiologicamente alla fase del giudizio dibattimentale senza che in essa la pretesa evidenza probatoria possa avere una qualche incidenza pregiudicante.
Si tratta di un rilievo significativo che concorre, nella complessiva trama della motivazione, alla conclusione del disinteresse dell'apporto collaborativo.
La Corte di assise di appello ha operato una compiuta valutazione sulla base dei criteri di elaborazione giurisprudenziale sin dalla pronuncia con cui le Sezioni unite statuirono che "ai fini di una corretta valutazione della chiamata in correità a mente del disposto dell'art. 192, comma 3, cod. proc. pen., il giudice deve in primo luogo sciogliere il problema della credibilità del dichiarante (confitente e accusatore) in relazione, tra l'altro, alla sua personalità, alle sue condizioni socioeconomiche e familiari, al suo passato, ai rapporti con i chiamati in correità ed alla genesi remota e prossima della sua risoluzione alla confessione ed alla accusa dei coautori e complici; in secondo luogo deve verificare l'intrinseca consistenza, e le caratteristiche delle dichiarazioni del chiamante, alla luce di criteri quali, tra gli altri, quelli della precisione, della coerenza, della costanza, della spontaneità; infine egli deve esaminare i riscontri cosiddetti esterni.
L'esame del giudice deve esser compiuto seguendo l'indicato ordine logico perché non si può procedere ad una valutazione unitaria della chiamata in correità e degli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità se prima non si chiariscono gli eventuali dubbi che si addensino sulla chiamata in sé, indipendentemente dagli elementi di verifica esterni ad essa" - Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992, dep. 1993, Rv. 192465 -.
A tal fine ha messo in evidenza l'intraneità del dichiarante a "Cosa nostra" e gli elementi di certezza in merito alla assidua frequentazione con A. A. e S. I. e alla continua presenza presso l'agenzia di via (omissis), quartier generale di A..
Quanto poi ai rapporti con F. A., in specie alla rilevata incostanza dichiarativa in ordine al ruolo di quest'ultimo nel fatto criminoso, la Corte di assise di appello ha adeguatamente motivato.
Ha spiegato, con ricchezza di argomenti, come il primo atteggiamento di sostanziale reticenza fu determinato dalla preoccupazione di apparire al pubblico ministero interrogante - che manifestava l'intento di saggiarne con giustificabile diffidenza la credibilità a fronte di una piattaforma probatoria sino a quel momento costruita sulle difformi dichiarazioni di C. - un soggetto animato da intenti ritorsivi nei confronti di colui che aveva intrattenuto con la propria moglie una relazione sentimentale.
E per la stessa ansia di apparire sin da subito credibile, I. - ha logicamente osservato la Corte di assise di appello - disse di aver partecipato, insieme ad A. e I., all'occultamento della mazza di legno utilizzata per l'aggressione in danno della vittima.
È pienamente logica e condivisibile l'osservazione dei giudici di merito per la quale, se I. fosse stato mosso da rancore nei confronti di A., non avrebbe esitato ad accusarlo sin dal primo interrogatorio.
Il fatto che abbia taciuto in una prima occasione e si sia poi determinato a coinvolgere A. è logicamente indicativo della veridicità del secondo apporto dichiarativo, come opportunamente osservato dalla Corte di assise di appello.
E non è marginale l'osservazione, in questa prospettiva di verifica critica della credibilità del dichiarante, che se fosse stato mosso da malanimo e rancore avrebbe descritto la partecipazione di A. in termini più netti e avrebbe arricchito la sua essenziale dichiarazione di dettagli, mentre invece si è limitato, come rilevato dalla Corte territoriale, ad una dichiarazione puntuale, distaccata, priva di sovrabbondanze di racconto.
2.1. Alla esaustiva motivazione in ordine alla credibilità di I. la Corte di assise di appello ha fatto seguire una puntuale, ragionata e completa illustrazione dei plurimi elementi di riscontro, secondo l'insegnamento delle Sezioni unite per le quali "nella valutazione della chiamata in correità o in reità, il giudice, ancora prima di accertare l'esistenza di riscontri esterni, deve verificare la credibilità soggettiva del dichiarante e l'attendibilità oggettiva delle sue dichiarazioni, ma tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilità soggettiva del dichiarante e l'attendibilità oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l'art. 192, comma 3, cod. proc. pen., alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale" - Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Rv. 255145 -.
Ha così richiamato i dati di fatto che hanno capacità di riscontrare la veridicità del racconto del collaboratore, e che qui possono così indicarsi:
- la sicura frequentazione assidua, quotidiana, di I. con S. I. e A. A.;
- la chiamata telefonica, da una cabina pubblica di (omissis), alle ore 18.47 circa del giorno dell'aggressione, allo studio professionale della vittima, per accertarsi dell'orario di chiusura, e quindi di allontanamento dallo studio dell'avv.to F., per meglio pianificare l'aggressione ai suoi danni.
Che si tratti di un dato di riscontro di particolare efficacia è fuor di dubbio, per l'ovvia considerazione fatta dalla Corte di assise di appello per la quale soltanto l'effettivo autore della telefonata, o al più chi a quella telefonata aveva assistito, poteva conoscere una tale, puntuale, circostanza;
- la chiamata telefonica, di tre minuti successiva a quella in partenza dalla cabina telefonica pubblica, di G. R. al marito A. I., grazie alla quale apprese per espressa dichiarazione dell'interlocutore che questi si trovava, in quel frangente, proprio nell'agenzia di A. in via (omissis);
- la conversazione n. 905 delle ore 19.09,24 del giorno dell'aggressione omicida, oggetto di intercettazione a cornetta aperta mentre I. stava tentando di contattare la moglie con il suo telefono cellulare, con cui aveva comunicato, sempre telefonicamente, circa venti minuti prima dicendole di trovarsi nell'agenzia di A..
Ebbene, nel corso della conversazione intercettata tra I. e altro soggetto, identificato in I., si fece riferimento al "mio" motociclo Scarabeo, e all'epoca I. era possessore di un ciclomotore Scarabeo 50, (Omissis), a volte utilizzato da I..
Vi era anche A., come si trae da quanto comunicato poco prima da I. alla moglie, e i tre fecero riferimento inequivoco al grave fatto criminoso che si accingevano a compiere, discutendo della necessità di disfarsi di un motociclo utilizzato per l'occasione, e sul punto poi I. ha dichiarato di non aver saputo che fine avesse fatto lo scooter, provento di furto, utilizzato dai complici; dell'impiego nell'azione anche di un'autovettura, come poi effettivamente avvenne, e dell'arma che avrebbero dovuto procacciarsi, dato che la persona (C.) incaricata di procurare "il coso di legno" non si era fatta viva e ciò aveva indotto I., come poi dallo stesso rivelato, a procurarsi, presso tale Martino, il grosso manico, privo della parte metallica, di un piccone, che da lì a breve fu lo strumento letale della eseguita aggressione;
- la conversazione di I. delle ore 20.08,48 dello stesso giorno con A. A., che deve leggersi tenendo conto del fatto, accertato, che I., poco dopo la conversazione delle 19,09, si allontanava dalla zona dell'agenzia di via (omissis) e raggiungeva la zona di ubicazione della sala Bingo di piazza Politeama, ove lavorava la moglie, come ricostruito dagli agganci del suo telefono cellulare alle celle telefoniche.
Ciò perché, come poi dallo stesso dichiarato, dopo aver prelevato la mazza di legno e averla portata presso l'agenzia, dovette raggiungere la moglie, che abitava alla Zisa, e trasportarla sul posto di lavoro, per poi recarsi nuovamente all'agenzia di A. per prelevare la mazza di legno.
Durante questi spostamenti di I. furono effettivamente plurimi i tentativi di contatto telefonico di A., che poi riuscì a parlargli e si lamentò del ritardo sui tempi presi per il loro appuntamento.
La Corte di assise di appello ha a tal proposito rilevato, con argomento logico e coerente, che i toni aspri di rimprovero di A., infastidito dal ritardo di I., facevano ben intendere l'importanza, l'indifferibilità dell'appuntamento, e non sarebbero stati per nulla giustificati prendendo per buona la versione di A., che ha poi riferito di una urgenza legata all'organizzazione di una mai meglio illustrata lotteria a premi;
- l'aggancio del telefono cellulare di I. alle ore 20.09,43 alla cella di via (omissis), che collima con il racconto di questi, e cioè che fece ritorno all'agenzia di via (omissis), coperta da quella cella, per prelevare la mazza di legno e poi recarsi all'appuntamento con A.;
- l'accertamento che, come dichiarato da I., alle ore 00,18 del 27 febbraio 2010, e cioè a distanza di qualche giorno dall'aggressione e immediatamente dopo che si diffuse la notizia che l'aggredito avv.to F. era deceduto, si verificò l'incendio del contenitore dei rifiuti di (omissis), sì come indicato da I., che disse che appiccarono l'incendio per eliminare l'arma del delitto, che era stata giorni prima abbandonata entro la campana per la raccolta del vetro e, per sviare le indagini, che dettero fuoco anche agli attigui contenitori dei rifiuti urbani.
Dato di riscontro rilevante è che la chiamata per i Vigili del fuoco, che intervennero a spegnere l'incendio, provenne dalla Polizia di Stato, perché collima con il racconto di I., secondo cui il sito ove erano posizionati i cassonetti dei rifiuti era presidiato dalla Polizia di Stato in quanto nei pressi abitava un noto parlamentale apicale di rilievo nazionale.
2.1.1. Agli appena indicati elementi di riscontro la Corte di assise di appello non ha mancato di aggiungere quello con efficacia individualizzante rispetto al ricorrente A..
È noto che "ai fini dell'affermazione di responsabilità dell'imputato, il riscontro alla chiamata in correità può dirsi individualizzante quando non consiste semplicemente nell'oggettiva conferma del fatto riferito dal chiamante, ma offre elementi che collegano il fatto stesso alla persona del chiamato, fornendo un preciso contributo dimostrativo dell'attribuzione a quest'ultimo del reato contestato" - Sez. 6, n. 45733 del 11/07/2018, Rv. 274151 -. Ebbene, ha opportunamente precisato la Corte di assise di appello, un dato oggettivo di riscontro ha avuto specifico riguardo alla persona di F. A.: il riferimento è al fatto che G. R., moglie di I., ebbe bisogno, la sera del fatto, di contattare il marito, che avrebbe dovuto prendersi cura del figlio minore lasciato in temporanea custodia alla di lei madre, e, non riuscendo a mettersi telefonicamente in contatto con il marito, perché l'utenza telefonica non era raggiungibile, provò a contattare A., e ciò perché ben sapeva, secondo quanto le aveva detto poche ore prima il marito, che quella sera lui sarebbe stato in compagnia di A., A. e I. per importanti impegni, e che per questa ragione aveva avuto necessità dell'autovettura.
Non può ritenersi, come invece addotto dalla difesa, che si trattò di un tentativo di contatto determinato dalla relazione extraconiugale che G. R. intratteneva con A., perché in tal modo non si spiegherebbe il pressoché contestuale tentativo di contattare A.. Ciò G. R. invero fece, secondo le logiche deduzioni della Corte di assise di appello, perché il suo fine era di reperire il coniuge e quindi tentò, non potendo raggiungerlo, di contattare coloro che sapeva essere quella sera in sua compagnia, proprio secondo quanto le aveva comunicato lo stesso I..
2.1.2. L'attendibilità di I. è stata compiutamente saggiata anche in riferimento a quella parte di narrato che attiene specificamente al luogo e alle modalità dell'aggressione.
Il fatto che I. si fosse recato sul luogo di esecuzione del programma criminoso con la sua autovettura Smart è stato considerato, con logicità di argomenti, un dato non significativo di una presunta infedeltà del racconto per la semplice osservazione che, siccome il programma non era certo quello di uccidere l'avv.to F. quanto di impartirgli una lezione punitiva, allora è comprensibile che non avesse adottato particolare cautele, quale appunto quella di non recarsi in loco con la propria autovettura.
Quanto poi al dato che nessuno dei testimoni oculari ha riferito di un'autovettura Smart che si allontanò a tutta velocità con la portiera aperta, le argomentazioni spese in sentenza sono logiche e concludenti e spiegano come tale fatto non possa costituire l'indice della fallacia del racconto di I..
Una testimone si avvide che, tra le autovetture parcheggiate a lisca di pesce in prossimità del sottopasso ove è allocato il portone di ingresso del palazzo sede dello studio professionale dell'avv.to F., ne mancò improvvisamente una, un posto del parcheggio era vuoto, e tale particolare fu notato in quei concitati momenti appunto perché, poco prima, l'intera via era interessata da un continuo parcheggio di autovetture in sosta, posizionate a lisca di pesce.
Tutti gli astanti sentirono ad un tratto un rumore, che pensarono di collegare al gesto di repentino abbandono da parte degli aggressori in fuga con lo scooter dell'arma impiegata, ma è ben probabile, ed è questa la notazione logica della Corte di assise di appello, che sbagliarono e non si avvidero che il rumore percepito era conseguenza di altro, appunto di una portiera di autovettura chiusa con forza e con particolare rapidità.
Del resto, e il dato è certo, nessuno lasciò cadere un bastone per terra, e quindi la deduzione del giudice del merito non può essere relegata nell'area delle mere congetture, ma ha una solidità logica che ne fa apprezzabile argomento di indagine sulla attendibilità del dichiarante.
Non è pertanto censurabile la decisione di non rinnovare l'istruzione dibattimentale per la riassunzione delle dichiarazioni testimoniali di quanti assistettero al fatto.
2.2. Il secondo motivo è pur esso infondato.
I rilievi di ricorso in ordine alla validità, come elemento di riscontro, dell'apporto collaborativo di B. non colgono nel segno.
Non risponde al contenuto del dichiarato di B., sì come riportato nella sentenza impugnata, la descrizione di un ruolo esecutivo di A., con inevitabile contrasto con il dichiarato di A..
L'aver appreso da A. che F. aveva combinato un guaio, che "ci era andato pesante", ben può essere pienamente compatibile con il riconoscimento di un ruolo non già esecutivo quanto di supervisione del programma criminoso, con attribuzione della responsabilità anche per quanto eventualmente da altri materialmente compiuto.
Il riferimento a preliminari pedinamenti effettuati anche da A. non è dato che pone in crisi le dichiarazioni di I., perché non è un elemento di smentita delle stesse (v. fl. 195 della sentenza impugnata).
Né, come rilevato dalla Corte di assise di appello, il valore indiziario delle dichiarazioni di B. è messo in crisi dalle smentite di A., le cui dichiarazioni, oltre che inverosimili nella parte in cui ha negato di conoscere B., sono state logicamente ritenute inattendibili sul rilievo che, data la stretta amicizia con A. e la comune appartenenza associativa, mai avrebbe potuto corroborare le accuse contro A. e A..
Nessuna illogicità, incoerenza o carenza argomentativa si apprezza nella parte cui la sentenza impugnata ha escluso una qualche rilevanza alle deduzioni critiche in riguardo al racconto di B. della vicenda che ha interessato l'imprenditore C..
Del pari deve dirsi in riferimento alle doglianze difensive in merito al valore di riscontro delle dichiarazioni di L.: anche per questa parte le deduzioni di ricorso - che hanno ripreso le argomentazioni spese nel giudizio di appello e su cui la Corte di assise di appello si è soffermata conducendo un esame esaustivo - non fanno apprezzare alcun vizio logico o alcuna insufficienza argomentativa nella compiuta, articolata motivazione.
Per quel che poi attiene all'intero complesso di rilievi critici in ordine all'affidabilità del contributo dichiarativo di B. e di L., la Corte di assise di appello ha, con logiche deduzioni, risolto i tentativi difensivi, ora reiterati, di screditarne la portata probatoria di riscontro, o come meglio ha precisato la Corte territoriale la forza indiziaria, con una radicale considerazione in ordine all'assenza di dati di fatto che possano indurre a ritenere che i due coltivassero una qualche ragione per lanciare gratuite accuse nei confronti di A., di A. e di I..
Ha poi aggiunto che quanto da entrambi dichiarato in ordine a periodi comuni di detenzione (a specifiche situazioni carcerarie, di bracci o celle occupati) con coloro da cui ricevettero le informazioni poi riversate nelle dichiarazioni collaborative è stato puntualmente verificato.
In ordine alla ricostruzione del movente le doglianze di ricorso sono manifestamente infondate.
La Corte di assise di appello ha fatto puntuale richiamo alla sentenza di primo grado per la parte in cui ha dato conto delle voci testimoniali o comunque dichiarative, di comprovata attendibilità, che hanno avvalorato, secondo quanto sentito, visto o percepito in ambiente carcerario relativamente alla insofferenza negli ambienti di Cosa nostra per l'avv.to F., che in più di una occasione aveva portato avanti la strategia difensiva di indurre i propri assistiti ad un F. e costruttivo confronto con l'Autorità giudiziaria.
La Corte di assise di appello ha pure indicato alcuni casi specifici in cui si concretizzò la indicata linea difensiva, e ciò esclude in radice ogni consistenza al rilievo di ricorso.
2.3. Il terzo motivo è infondato.
Il ruolo attribuito dalle dichiarazioni accusatorie di I. ad A. ha natura concorsuale, perché il compito di supervisionare la programmazione dell'aggressione, curandosi di verificare che gli esecutori materiali avessero ben compreso il da farsi, si sostanzia in una compartecipazione attiva ai compiti organizzativi che implicitamente il mandato, di cui A. fu nuovo latore con sicura efficacia rafforzativa, comporta.
Come affermato dalla Corte di assise di appello e argomentato con deduzioni logiche e coerenti, non residuano dubbi sull'efficacia concorsuale del suo contributo.
Non si ravvisa la dedotta difformità da quanto indicato in imputazione, ove si attribuisce ad A. il ruolo di mandante: i compiti di supervisione, di assicurazione che il programma criminoso fosse stato curato e ben recepito da quanti erano stati incaricati della sua esecuzione, è una compartecipazione al mandato con esplicazione di un potere di organizzazione che giustifica il riconoscimento dell'aggravante di cui all'art. 112, n. 2, cod. pen., e certo pone l'apporto concorsuale fuori dell'area dei contributi di minima importanza.
2. 4. Il quarto e il quinto motivo sono infondati.
Non è dubbio che scopo dell'aggressione fosse soltanto quello di dare una "lezione" all'avv.to F., una "passata di colpi di legno" che nella programmazione criminosa non avrebbe dovuto condurre all'esito più infausto, quale la morte.
I referenti mafiosi che avevano commissionato l'azione violenta avevano in animo di portare a compimento una "solenne bastonatura non mortale", ma, come puntualizzato logicamente dalla Corte di assise di appello, l'esecutore materiale, F. A., tracimò dagli ordini che aveva ricevuto e che erano stati ribaditi quel giorno stesso da A., e si lasciò andare ad una aggressione particolarmente brutale, dando violente bastonate che causarono immediatamente "la frattura del terzo prossimale del perone e la frattura pluri-frammentaria del terzo prossimale della tibia sinistra".
L'aggressione avrebbe potuto arrestarsi, e però l'esecutore materiale, pur quando la vittima era ormai caduta a terra, non si limitò a dare ulteriori colpi agli arti o sul tronco e sferrò violentissime bastonate alla testa, cagionando, come accertato in sede medico-legale, "gravissime lesioni cranioencefaliche...".
I plurimi colpi raggiunsero la vittima alla teca cranica, al collo, alla base cranica, alle orecchie e furono violenti e ripetuti, giungendo alla frantumazione della teca cranica.
Di qui la logicamente necessaria conclusione della sussistenza del dolo omicida, quanto meno nelle forme dell'accettazione dell'evento lesivo. L'alternativa dolo alternativo-dolo eventuale è stata prospettata dalla Corte di assise di appello per attestare che in ogni caso, quale che sia la soluzione più acconcia alle peculiarità della vicenda, Correttamente è stata applicata agli altri concorrenti nel reato la disposizione sul concorso anomalo ex art. 116 cod. pen., sulla premessa di due dati che possono dirsi adeguatamente accertati, ossia che non vollero il reato più grave posto in essere dal correo esecutore materiale e che l'evento più grave che fu conseguenza dell'azione esecutrice non si è posto in termini di eccezionalità, in dipendenza di fattori non ricollegabili eziologicamente alla condotta criminosa di base - v., in tal senso, Sez. 1, n. 44579 del 11/09/2018, Rv. 273977, secondo cui "in tema di concorso di persone nel reato, la configurabilità del concorso cosiddetto anomalo di cui all'art. 116 cod. pen. è soggetta a due limiti negativi e cioè che l'evento diverso non sia voluto neppure sotto il profilo del dolo alternativo o eventuale e che l'evento più grave, concretamente realizzato, non sia conseguenza di fattori eccezionali, sopravvenuti, meramente occasionali e non ricollegabili eziologicamente alla condotta criminosa di base" -.
La Corte di assise di appello ha correttamente osservato che nella programmazione di un'aggressione alla persona, la degenerazione di quanto programmato in qualcosa di ancor più lesivo non è riconducibile a fattori eccezionali o atipici ma costituisce il logico e prevedibile sviluppo di quanto concordato.
Nella giurisprudenza di legittimità si è pure affermato, all'esito di una elaborazione che ha valorizzato il principio di personalità della responsabilità penale, che "in tema di concorso anomalo ex art. 116 cod. pen., l'affermazione di responsabilità per il reato diverso commesso dal concorrente richiede la verifica della sussistenza di un nesso, non solo causale ma anche psicologico, tra la condotta del soggetto che ha voluto soltanto il reato meno grave e l'evento diverso, che si identifica con il coefficiente della colpa in concreto, da accertarsi, secondo gli ordinari criteri della prevedibilità del diverso reato, sulla base della personalità dell'esecutore materiale e del contesto fattuale nel quale l'azione si è svolta" - Sez. 5, n. 306 del 18/11/2020, dep. 2021, Rv. 280489 -.
Le stesse Sezioni unite, seppure in riferimento ad altra fattispecie criminosa, hanno puntualizzato la necessità della sussistenza della cd. colpa in concreto onde evitare che residuino forme inaccettabili di responsabilità oggettiva fondate soltanto sul riscontro del nesso causale: hanno così affermato che "in tema di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, la morte dell'assuntore di sostanza stupefacente è imputabile alla responsabilità del cedente sempre che, oltre al nesso di causalità materiale, sussista la colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma che incrimina la condotta di cessione) e con prevedibilità ed evitabilità dell'evento, da valutarsi alla stregua dell'agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall'agente reale" - Sez. U, n. 22676 del 22/01/2009, Rv. 243381 -.
L'elemento di concretizzazione di un atteggiamento colposo è colto, nella vicenda accuratamente ricostruita dai giudici di merito, attraverso il tipo di arma utilizzata, descritta alla luce degli esiti lesivi riscontrati sulla vittima come "un corpo contundente a maggior asse verticale, di notevole consistenza, dotato di particolare forza viva" (fl, 9) o come "un grosso bastone plausibilmente ligneo, simile alla gamba di un tavolo" (fl. 10), oltre che nella programmazione dell'azione esecutiva in pieno centro abitato, e quindi con la possibilità che nell'esecuzione interferisse la presenza di passanti (fl. 11).
Non va trascurato, peraltro, che il riferimento giurisprudenziale alla cd. colpa in concreto, nell'evocare un doveroso temperamento di prevedibilità per la soggettivizzazione della responsabilità in relazione all'evento non voluto, esprime giocoforza un adattamento delle regole ordinarie in tema di responsabilità colposa, governate dal legame tra evento e violazione di una specifica regola cautelare, al fenomeno concorsuale, dovendosi tener conto della ineliminabile e centrale mediazione volitiva del concorrente che si determina, con dolo, per un evento diverso e più grave.
2.5. Il sesto motivo è manifestamente infondato.
La Corte di assise di appello ha compiutamente motivato il diniego delle attenuanti generiche, in ragione sia del movente che delle caratteristiche oggettive di gravità del fatto commesso e ha compiutamente motivato la conferma delle statuizioni di primo grado in punto di concreta determinazione del trattamento penale.
Ha poi precisato che con l'atto di appello A. non si è doluto del riconoscimento dell'aggravante di cui all'art. 416-bis.1 cod. pen., che ha formato oggetto dei motivi di appello soltanto di I..
In ogni caso, pienamente logiche e coerenti sono le affermazioni di sentenza sulla sussistenza dell'aggravante, alla luce del movente della condotta criminosa, sì come compiutamente accertato.
3. Il ricorso di S. I. non merita accoglimento, per le ragioni di seguito esposte.
3.1. Il primo motivo è infondato.
Sui rilievi di ricorso in punto di valutazione di attendibilità delle dichiarazioni di I. e di sufficienza dei riscontri alle stesse, si fa richiamo a quanto argomentato per il corrispondente motivo del ricorso di F. A. (par. 2 e par. 2.1.).
Quanto all'affermazione della partecipazione del ricorrente alla conversazione oggetto di intercettazione a cornetta aperta delle ore 19.09,24 del giorno del fatto la Corte di assise di appello ha spiegato le ragioni della individuazione tra i conversanti del ricorrente, sia con il richiamo alle verifiche delle celle di aggancio, che hanno rilevato la presenza di I. nella zona coperta dalla cella ripetitrice, tra le altre, di via (omissis), sia con l'osservazione che i conversanti fecero riferimento ai movimenti da farsi con un ciclomotore Scarabeo, esattamente il ciclomotore che risultò nella disponibilità al tempo di I..
Tutto ciò sullo sfondo di un'accertata assidua frequentazione di I. con I. ed A. e di una costante presenza di I. presso l'agenzia di via (omissis).
3.2. Il secondo motivo, attinente alla pretesa qualificazione del fatto come omicidio preterintenzionale, è infondato per le ragioni già illustrate nell'esame del corrispondente motivo di F. A..
3.3. Il terzo motivo è infondato.
La Corte di assise di appello ha ben spiegato le ragioni del diniego delle attenuanti generiche, sulla base non soltanto dei precedenti penali ma anche della oggettiva gravità del fatto, dell'estremo allarme sociale che ha prodotto anche sul piano nazionale, della odiosità del movente.
4. Il ricorso di A. A. non è meritevole di accoglimento, per le ragioni di seguito esposte.
4.1. Il primo motivo è infondato, per la gran parte per le considerazioni già espresse in riguardo al motivo del ricorso di F. A. con cui si è contestato il giudizio di attendibilità delle dichiarazioni di I. e si è negata l'esistenza di idonei riscontri esterni.
In riferimento alla persona di A. A. la sentenza impugnata non ha mancato di evidenziare l'esistenza di un rilevante riscontro con efficacia individualizzante, costituito dalla conversazione intrattenuta dal ricorrente con I. alle ore 20.08,48 e quindi poco prima della violenta aggressione ai danni dell'avv.to F..
Si è già detto, trattando dei numerosi dati di riscontro alle dichiarazioni di I. che questi, dopo la conversazione oggetto di intercettazione a cornetta aperta andò via dall'agenzia di via (omissis), recandosi prima a prelevare la mazza di legno e poi ad accompagnare la moglie presso la sala Bingo in cui lavorava.
Durante questo tempo, di allontanamento di I. dall'agenzia, A. tentò plurime volte di contattarlo, avendo infine una conversazione telefonica con I. durante la quale si lamentò del fatto che non lo avesse raggiunto, come d'accordo, nel luogo concordato, e lo rimproverò con durezza per il ritardo.
La Corte di assise di appello ha logicamente osservato che toni del rimprovero e inquietudine lasciavano intendere che l'appunto era di cruciale importanza e che la conversazione telefonica ben si spiega alla luce dei movimenti pregressi dei due, che erano stati insieme poche decine di minuti prima per concordare il programma criminoso.
E ha poi logicamente escluso che la conversazione telefonica e i rimproveri per il ritardo fossero determinati dalle esigenze di organizzazione di una non meglio precisata lotteria, come invece sostenuto da A..
La Corte di assise di appello ha aggiunto, ancora una volta con argomentazioni logicamente ineccepibili, che una lettura coordinata degli avvenimenti di quelle ore che precedettero l'aggressione ai danni dell'avv.to F., dei movimenti degli imputati, dei loro contatti, induce ragionevolmente a ritenere che nel corso della conversazione intercettata a cornetta aperta delle ore 19.09 il terzo interlocutore, impegnato nella messa a punto dei dettagli organizzativi del programma criminoso, era proprio A..
4.2. Il secondo motivo è infondato.
La Corte di assise di appello, come già si è argomentato in merito al corrispondente motivo del ricorso di F. A., ha ampiamente e logicamente motivato l'esclusione della natura preterintenzionale dell'omicidio, e certo non valgono ad infirmare la tenuta logica della motivazione i rilievi di ricorso.
5. I ricorsi devono pertanto essere rigettati.
Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti F. A., S. I. e A. A. al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che sono liquidate, come da dispositivo, sulla base delle richieste dalle stesse proposte.
(Omissis)