Cassazione penale sez. IV, 02/03/2023, (ud. 02/03/2023, dep. 30/03/2023), n.13286
Cassazione penale sez. IV, 02/03/2023, (ud. 02/03/2023, dep. 30/03/2023), n.13286
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente -
Dott. BELLINI Ugo - Consigliere -
Dott. PEZZELLA Vincenzo - rel. Consigliere -
Dott. MARI Attilio - Consigliere -
Dott. DAWAN Daniela - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.S., nato a (Omissis);
avverso la sentenza del 15/12/2021 della CORTE APPELLO di MESSINA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. PEZZELLA VINCENZO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Gen. Dott.ssa MARINELLI FELICETTA che ha concluso chiedendo il
rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. BIONDI GIUSEPPE del Foro di NAPOLI in difesa
di A.S. che ha insistito per l'accoglimento del ricorso.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 29/5/2019 il GUP presso il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, all'esito di giudizio abbreviato, condannava l'odierno ricorrente A.S. - esclusa in relazione al capo a) l'aggravante di cui all'art. 1122 c.n. e previa riduzione per la scelta del rito - alla pena di anni 2 di reclusione, con sospensione condizionale e non menzione della stessa, oltre al risarcimento del danno in favore delle parti civili, da liquidarsi in separata sede in quanto riconosciutolo colpevole:
a) del delitto p. e p. dall'art. 428 - in relazione all'art. 449 c.p., comma 2; art. 1122 c.n. perché, nella qualità di comandante dell'unita navale "(Omissis)" della Società di navigazione "Liberty Lines", per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia e omettendo di applicare correttamente le procedure di sicurezza per la navigazione in modo da non poter agire on maniera appropriata ed efficiente per evitare abbordaggi e per arrestare il natante entro una distanza adeguata alle circostanze e alle condizioni del momento, cagionava il naufragio della predetta unità navale "(Omissis)" che impattava contro il promontorio di (Omissis). Ed in particolare: dopo il disormeggio dell'aliscafo, non disponeva che almeno uno dei marinai fosse in plancia per provvedere a vedetta e assistenza alla navigazione, alle comunicazioni VHF, regolazione di luci e al controllo dei dati di rotta GPS e radar (artt. 4-5-6-7 lett. a) lett. e) e) - 8 Col. Reg. 1972); non programmava la rotta, né con manuale cartografia, né con la programmazione, Digitale ECDS; navigava con assetto planante, nonostante fosse ancora in navigazione in rada (art. 3-4 Ord. Ufficio circondariale marittimo n. 32/2012). In (Omissis).
b) del delitto p. e p. dall'art. 590 c.p., comma 3 perché, con la condotta di cui al capo a), cagionava, per colpa, a L.C.G. lesioni personali gravissime consistite in "trauma cranico in seguito ad incidente su natante; insufficienza respiratoria acuta in paziente con trauma cranico", malattia che ha messo in pericolo la vita di L.C.G. (dal 8.9.2017 al 2.10.2017) e con un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai 40 giorni (circa 88 giorni a seguito dei vari ricoveri presso diversi nosocomi, tutt'ora in atto).
In (Omissis).
d) del delitto p. e p. dall'art. 590 c.p. perché con la condotta di cui al capo a), cagionava, per colpa, a P.M.G. lesioni personali consistite in "Frattura epifisi distale di tibia e perone con lussazione tibio-stralgica sx". In (Omissis).
e) del delitto p. e p. dall'art. 590 c.p. perché con la condotta di cui al capo a), cagionava, per colpa, a P.M. lesioni personali consistite in "trauma rachide cervicale, dolore alla spalla sx e mano dx, abrasione emiviso dx", giudicate guaribili in giorni 7. In (Omissis).
l) del delitto p. e p. dall'art. 590 c.p. perché con la condotta di cui al capo a), cagionava, per colpa, a S.C. lesioni personali consistite in "trauma contusivo braccio dx", giudicate guaribili in giorni 7.
In (Omissis).
m) del delitto p. e p. dall'art. 590 c.p. perché con la condotta di cui al capo a), cagionava, per colpa, a I.R. lesioni personali consistite in "trauma ginocchio sx in gravida alla 23^ settimana di gestazione.
Ematoma gluteo sinistro" giudicate guaribili in giorni 7.
In (Omissis).
n) del delitto p. e p. dall'art. 590 c.p., comma 3 perché con la condotta di cui al capo a), cagionava, per colpa, a G.G. lesioni personali consistite in "trauma contusivo spalla dx, bacino dx", giudicate guaribili in giorni 7.
In (Omissis).
o) del delitto p. e p. dall'art. 590 c.p., comma 3 perché con la condotta di cui al capo a), cagionava, per colpa, a L.A. lesioni personali consistite in "trauma contusivo ginocchio dx, schiena, braccio dx, addome", giudicate guaribili in giorni 7. In (Omissis).
p) del delitto p. e p. dall'art. 590 c.p., comma 3 perché con la condotta di cui al capo a), cagionava, per colpa, a T.R. lesioni personali consistite in "infrazione apice 9^ e 10^ costa dx", giudicate guaribili in giorni 7. In (Omissis).
q) del delitto p. e p. dall'art. 590 c.p., comma 3 perché con la condotta di cui al capo a), cagionava, per colpa, a S.M. lesioni personali consistite in "frattura 3^, 4^, 5^, 6^, 7^ costa dx", giudicate guaribili in giorni 7. In (Omissis).
Con sentenza del 15/12/2021, la Corte di Appello di Messina, pronunciando sull'appello dell'imputato, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell'imputato in ordine ai reati ascrittigli ai capi d), e), l) ed m), perché estinti per intervenuta remissione della querela, ed in ordine ai reati di cui ai capi n), o), p) e q), per mancanza della querela; confermava nel resto e rideterminava la pena in complessivi anni uno di reclusione, revocando le statuizioni civili.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, A.S., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
In premessa il difensore ricorrente ricorda come, rispetto alle condotte omissive compendiate nella prima proposizione del secondo periodo dell'imputazione di cui al capo a) - l'unica che residua a questo punto del processo - il G.U.P. di prime cure abbia ritenuto "integrate" esclusivamente le condotte di "non aver dato disposizioni che almeno uno dei marittimi fosse in plancia per provvedere a vedetta e assistenza alla navigazione e alle comunicazioni VHF", mentre, con riferimento alle altre due condotte omissive di cui alla prima proposizione della imputazione, ovvero la "regolazione delle luci" in plancia ed il "controllo dei dati di rotta GPS e radar" - incombenti che, secondo l'imputazione, l' A. avrebbe dovuto affidare a un marittimo del proprio equipaggio - già il giudice di prime grado (il richiamo è a pag. 39 della sentenza di primo grado) ha ritenuto non essersi integrata "alcuna irregolarità nella condotta dell'imputato".
Con un primo motivo il ricorrente lamenta violazione dell'art. 110 c.p. e art. 192 c.p.p. nonché violazione dell'art. 125 c.p.p. e art. 111 Cost., comma 6 e vizio di motivazione per mancanza ed apoditticità della stessa, travisamento dell'informazione probatoria con conseguenziale errata attribuzione di significato dimostrativo agli elementi in atti valorizzati nell'ambito del percorso seguito.
Si lamenta altresì travisamento del materiale probatorio utilizzabile ai fini della decisione allorquando la Corte territoriale fraintenderebbe l'informazione probatoria esistente agli atti per giungere a tacciare di infondatezza il gravame difensivo.
In particolare, si censura la motivazione del provvedimento impugnato, anche sotto il profilo del vizio motivazionale, quanto all'errato posizionamento del piovasco che sarebbe stato operato in corrispondenza dell'aliscafo "(Omissis)" ritenuto "sconfessato da quanto riferito dagli altri membri dell'equipaggio" e "aggirabile laddove vi fosse stato un adeguato servizio di vedetta" (il richiamo è a pag. 10 dell'impugnata sentenza). laddove invece il comandante A., nella dichiarazione di evento straordinario (presente agli atti) precisava "si presentava improvvisamente sullo schermo del radar un intenso piovasco che non mi permetteva di vedere (Omissis)...il piovasco fittissimo, nel mentre affinavo anti-rain, non mi permetteva di vedere la montagna", riferendo pertanto della presenza di tale piovasco non già sull'unità - che ricorrente precisava fosse libera da pioggia - bensì sul promontorio di (Omissis) dell'isola di (Omissis) - certamente quindi in posizione tutt'altro che aggirabile, che pertanto scompariva alla vista del ricorrente ed all'eco dell'apparato radar di bordo.
Si sostiene che le asserzioni difensive del Comandante A. sulla ricostruzione dell'accaduto sono state corroborate dalla relazione di consulenza tecnica redatta ex artt. 233 e 121 c.p.p. dal C.T. della difesa ing. R.P., depositata in data 10.05.2019 prima dell'emissione della sentenza di primo grado.
In tale consulenza, si evidenziava come la sera dell'(Omissis) la zona di (Omissis) e di tutte le isole (Omissis) fossero interessate da alternanze di tempo stabile e piovaschi - e questi ultimi, per la loro natura, sono fenomeni brevi ed intensi - e tale dato era testimoniato dagli allegati alla relazione dell'ing. R., e precisamente: a. il rapporto redatto dal Col. A.F., meteorologo ed ex Ufficiale della Aeronautica Militare; b. il rapporto storico estratto dal sito internet "(Omissis)"; c. le previsioni meteo del canale televisivo "(Omissis)" riportate nel sito: (Omissis) che confortavano quanto descritto dal Comandante A.. L'isola di (Omissis), in quelle ore, veniva interessata da più violenti eventi meteorologici a carattere temporalesco in occasione di uno dei quali un fulmine colpì la chiesa di (Omissis), facendone crollare una parte del campanile.
Ebbene, ci si duole che, nonostante tale inequivocabile descrizione, già il G.U.P. di prime cure abbia travisato nettamente tale informazione probatoria, ritenendola non credibile per tali motivi (cfr. pag. 45 sentenza di 1^ grado) laddove afferma: "Tale asserzione non è credibile per innumerevoli ragioni di ordine logico e tecnico e perché smentita espressamente dagli altri membri dell'equipaggio. Nessuno dei marinai escussi, infatti, a seguito di specifica domanda sul punto, ha riferito in ordine alla presenza di piovaschi, ma di contro tutti confermavano che le condizioni meteo-marine erano ottimali, che il mare era piatto, non c'erano onde né raffiche di vento ed inoltre il Comandante non aveva loro segnalato alcuna difficoltà per la navigazione".
La Difesa ricorda che, nel gravame avverso la sentenza di prime cure, sottolineava come il piovasco viene in meteorologia definito come un fenomeno meteorologico caratterizzato da un'intensa breve precipitazione a manifestazione localizzata e tale piovasco - riferiva nell'immediatezza il ricorrente - improvvisamente gli oscurò (Omissis) dapprima visivamente ed indi anche dallo schermo del radar banda X di cui era dotato l'aliscafo "(Omissis)".
L'improvvisa comparsa di tale fenomeno, che fu notata dal Comandante A. - sottolineava ancora il gravame difensivo - di per sé avrebbe impedito agli altri marittimi di avvedersene, né le condizioni di mare ottimale riportate dal G.U.P. contrastavano con il verificarsi di tale fenomeno, per sua natura breve, improvviso e territorialmente localizzato.
Orbene, nonostante tali fossero le doglianze difensive compendiate nel gravame avverso la sentenza di prime cure, la Corte distrettuale messinese, nell'impugnata sentenza, reitera tale travisamento dell'informazione probatoria offerta dal ricorrente e dimostra nuovamente di fraintendere il dato che il piovasco in questione fosse stato individuato dal Comandante A. a "coprire" il promontorio di (Omissis), esprimendosi in tali termini (cfr. pag. 10 impugnata sentenza):
"Con riguardo alla presenza di un piovasco sul luogo del fatto al momento del sinistro, occorre evidenziare come le affermazione dell' A., unitamente alle documentazioni meteo allegate dal legale appellante, non risultano idonee a sconfessare quanto riferito da tutti gli altri membri dell'equipaggio, i quali hanno precisato che quella sera il cielo era sereno ed il mare calmo. In tal senso, è verosimile che la documentazione prodotta dall'appellante possa anche fare riferimento ad un momento successivo al sinistro, o comunque ad un luogo diverso dalla rada. In ogni caso, quand'anche il piovasco ci fosse stato, e così non e', a maggior ragione il Comandante si sarebbe dovuto far assistere da una vedetta, la quale avrebbe potuto guidare l' A., invitandolo ad aggirare la zona interessata dal forte acquazzone o a procedere con maggiore cautelare in prossimità di essa".
Per il ricorrente anche la Corte distrettuale mostra di fraintendere la subitaneità del piovasco riscontrato dal Comandante A. durante la navigazione, e, inoltre, il dato che la Corte territoriale asserisca che esso avrebbe potuto essere "aggirato" palesemente testimonierebbe il fraintendimento di tale informazione probatoria, dal momento che certamente il ricorrente non avrebbe potuto "aggirare" un piovasco che insisteva non in mare aperto, bensì su un promontorio.
Va sottolineato poi che il dato che il repentino piovasco - collocato dal Comandante A. sul promontorio di (Omissis) ad impedirne la vista sia in concreto che "elettronica" - avrebbe potuto essere "aggirato" laddove il Comandante A. si fosse fatto assistere da una vedetta "che avrebbe potuto guidare l' A., invitandolo ad aggirare la zona interessata dal forte acquazzone - rappresenterebbe un novum nel tessuto motivazionale della Corte di Appello, adoperato per tacciare di infondatezza il gravame difensivo avverso la sentenza di prime cure, che di fatto si risolverebbe nel travisamento di un'informazione probatoria.
Il denunciato vizio di travisamento della prova - che il ricorrente ritiene debba determinare censura di nullità dell'impugnata sentenza - inoltre riguarderebbe un elemento probatorio la cui interpretazione, approntata dalla Corte distrettuale in guisa incontrovertibilmente difforme dal suo "significante", sarebbe idonea a disarticolare l'intero ragionamento probatorio percorso dalla Corte di Appello, rendendo illogica la motivazione offerta nella impugnata sentenza per la essenziale forza dimostrativa che riveste l'elemento frainteso rispetto alle doglianze difensive mosse avverso la sentenza di prime cure.
La presenza del piovasco che improvvisamente faceva la sua comparsa sul promontorio di (Omissis) a coprirne la visibilità fisica e per la strumentazione di bordo - riferito dall'odierno ricorrente - rivestirebbe per il ricorrente rilevanza probatoria fondamentale nella ricostruzione degli accadimenti ed il travisamento di tale informazione inficia la motivazione offerta nella impugnata sentenza.
Si lamenta altresì l'omessa risposta in motivazione da parte dei giudici del gravame del merito con riferimento alla richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale ai sensi dell'art. 603 c.p.p., comma 3, mediante l'escussione del consulente tecnico della difesa Ing. R.P., contenuta nell'appello, della cui esistenza non viene data contezza alcuna nella sentenza impugnata.
La Difesa lamentava, peraltro, che le considerazioni compendiate nella relazione dell'Ing. R.P., depositata in data 10.05.2019 e nuovamente allegata ai motivi di gravame, fossero state del tutto trascurate in motivazione.
Esse, invero, però riguardavano temi tutt'altro che già sviscerati dalle indagini, bensì abbracciavano profili di natura tecnica che non avevano mai formato oggetto di approfondimento da parte della P.G. né tantomeno erano stati ricompresi nel perimetro esplorativo demandato al vaglio tecnico del C.T. del P.M., l'ing. R.A..
Sotto tale profilo, i ricorrente ricorda che la Corte di Appello di Messina veniva sollecitata dalla difesa a disporre, ai sensi dell'art. 603 c.p.p., comma 3, la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale di grado mediante l'escussione del C.T. della difesa ing. R.P., che avrebbe potuto far luce su alcuni temi che certamente costituivano imprescindibili tasselli per una ricostruzione dell'accaduto che intendesse definirsi tecnicamente completa.- rimasti inesplorati dal giudizio di primo grado, ed in particolare: a. le condizioni meteo presenti a (Omissis) in occasione dell'evento, con particolare riferimento alla verosimiglianza del piovasco riferito dall'odierno ricorrente nella su riportata dichiarazione di evento straordinario e dinanzi al G.U.P. di prime cure; b. l'assenta violazione delle regole della COLREG 72 indicate al capo d'imputazione sub a); c. il bene giuridico che intenda preservare la normativa che presiede la disciplina delle comunicazioni via VHF a bordo; d. gli obblighi prescritti dal manuale SMS della compagnia di navigazione; e. il ritardo che possa soffrire la trasmissione della posizione dell'unità sul sistema di bordo ECDIS rispetto alla reale posizione della nave.
Orbene, ci si duole che di tale sollecitazione difensiva ad attivare i poteri d'integrazione probatoria d'ufficio, rivolta alla Corte messinese, non vi sia riscontro alcuno nell'impugnata sentenza: non viene menzionata nella parte di essa (cfr. pagg. 5-7) in cui viene riassunto il gravame difensivo né, tantomeno, se ne trova cenno alcuno nella parte motiva della sentenza che, sotto tale profilo, soffre di un'evidente mancanza di motivazione.
Con un secondo motivo si censura l'illogicità della motivazione del provvedimento impugnato laddove rileva che con riguardo al presunto travisamento operato dal primo giudice circa il riferimento all'ambito portuale di (Omissis) ex art. 4, comma 5 ord. 32/2012 (rubricato "ambito portuale di (Omissis)" - vedi pag. 43 della sentenza impugnata), si evidenzia come non vale ad inficiare la prospettiva accusatoria, recepita dal GUP (cfr. pag. 9 impugnata sentenza), prospettiva accusatoria che sostiene che l'aliscafo navigava con assetto planante, nonostante fosse ancora in navigazione in rada (ART. 3-4 ord. ufficio circondariale marittimo N. 32/2012).
Si lamenta l'omessa risposta in motivazione al motivo di appello sul punto che sosteneva come non rispondesse al vero che l'imputato avesse violato la normativa in questione perché - come erroneamente sostenuto dal gup di prime cure (cfr. pagg. 44 e 45 sentenza di 1^ grado): a. "l'aliscafo condotto dall'imputato fosse già in assetto planante, sulle ali, e dunque a velocità elevata, sebbene sia certa la sua presenza ancora in area di rada come confermato dall'impatto su (Omissis)"; b. "il Comandante A. ha impostato il passaggio dell'assetto dell'aliscafo "(Omissis)" dall'assetto dislocante all'assetto planante prima del dovuto, ovvero quando si trovava ancora nell'area di rada del porto di (Omissis).
Si era sostenuto, invece, che i traccianti AIS presenti agli atti evidenziassero in modo oggettivo la circostanza che non risultava violato il disposto di cui all'art. 3, comma 2 ordinanza 32/2012 emessa dall'ufficio circondariale di (Omissis) (documento che viene allegato al ricorso).
La pronunzia della Corte territoriale impugnata sarebbe affetta da illogicità motivazionale laddove, rispondendo a tale doglianza apoditticamente, chioserebbe: "Ed invero, la medesima prescrizione - ossia quella per cui "dovranno essere seguite esclusivamente rotte perpendicolari alla costa e solo al fine di rag-giungere/lasciare il proprio posto di ormeggio/ancoraggio" - era richiamata anche all'art. 3, comma 3 dell'ordinanza, il quale è applicabile all'intera rada di (Omissis), ossia la zona ricompresa tra il limite esterno dell'ambito portuale e la linea congiungente (Omissis) (come riportato nella cartina allegata)".
La Corte territoriale avrebbe omesso di avvedersi del dato che la contestazione contenuta nell'imputazione - e le doglianze difensive compendiate nel gravame avverso la sentenza di prime cure - facessero riferimento al dato che l'unità navigasse in assetto planante nonostante si trovasse ancora nella rada del porto di (Omissis) (in asserita violazione dei richiamati disposti normativi) - e come tale tesi fosse stata condivisa dal gup di prime cure - e non facesse, invece, in alcun modo riferimento alla rotta da essa seguita per uscire dal porto di (Omissis).
Navigare in assetto planante - ricorda il ricorrente - significa che l'unità di cui trattasi - un aliscafo - aveva raggiunto una velocità tale da passare dal dislocamento (posizione in cui tutto lo scafo si trova immerso in acqua) alla c.d. "navigazione sulle ali" (posizione in cui tutto lo scafo è emerso dall'acqua e naviga in sostentamento idrodinamico, in assetto planante appunto).
In altri termini, chiarisce il ricorrente, si censura che l'aliscafo viaggiasse ad una velocità più elevata di quanto consentito in uno specchio d'acqua in cui non avrebbe potuto raggiungerla, in cui non avrebbe potuto, appunto, navigare "sulle ali". Tale condotta - ma il ricorrente contesta tale affermazione - sarebbe stata perpetrata in violazione del disposto normativo di cui agli artt. 3 e 4 dell'ordinanza n. 32/2012 emessa dall'Ufficio Circondariale Marittimo di (Omissis), di cui si allega al ricorso un estratto.
L'art. 4 di detta ordinanza - prosegue il ricorso - disciplinai la navigazione e le manovre di ormeggio/disormeggio nella zona denominata "Ambito portuale di (Omissis)" e quindi, come può evincersi dalla consultazione della cartina della rada di (Omissis) allegata sub doc. 2, non ha alcuna attinenza con il caso in esame.
La contestazione fatta propria dal G.U.P. di una navigazione "sulle ali" nonostante l'aliscafo fosse ancora in rada - in violazione dell'art. 3 della suddetta ordinanza - risultava, invece, non essersi verificata nel caso di specie. E tale dato si sostiene che emergesse in maniera incontrovertibile da elementi oggettivi di natura tecnica non revocabili in dubbio, che venivano purtroppo assolutamente trascurati dal giudice di prime cure.
Viene precisato che l'art. 3 dell'ordinanza in questione non vieta la navigazione "sulle ali" nella rada di (Omissis) - ergo quanto si legge nel capo d'imputazione sub a) e quanto erroneamente pedissequamente riportava il G.U.P. di prime cure - bensì prescrive, al comma 2, che l'aliscafo viaggi "in dislocamento" - ergo non si trovi più in navigazione "sulle ali" - "prima di metri 300 dal limite esterno dell'ambito portuale", come chiaramente si evince altresì nella planimetria allegata alla stessa ordinanza che pure viene allegata.
Nel caso di specie, dati oggettivi ed incontrovertibili quali i tracciati A.I.S. ergo i tracciati dai quali si evincono rotta e velocità dell'unità, registrati dalla Capitaneria di Porto di Lipari, presenti agli atti - testimoniavano come l'aliscafo "(Omissis)" avesse rispettato tale "limite di velocità", l'unico previsto dalla normativa in questione: l'aliscafo aveva regolarmente navigato in dislocamento fino al limite imposto dall'ordinanza e, soltanto dopo tale limite, sempre regolarmente, aveva aumentato la sua velocità e man mano si era portato "sulle ali", ergo in sostentamento idrodinamico.
Era del tutto evidente - si sostiene in ricorso - come la contestazione di aver violato gli artt. 3 e 4 dell'ordinanza citata fosse destituita di qualsiasi fondamento.
Rispetto a tali indiscutibili emergenze tecniche, si registrerebbe un'assoluta apoditticità della impugnata sentenza, laddove la Corte di Appello - con motivazione illogica - traviserebbe non solo il gravame difensivo, ma finanche la proposizione riportata nel capo d'imputazione sub a) - in concreto, una censura di velocità più elevata di quella consentita in un determinato specchio d'acqua- tramutandola in una differente contestazione.
Nonostante la Corte distrettuale abbia ben sintetizzato il gravame difensivo sul punto, in tali termini (il richiamo è a pag. 6 dell'impugnata sentenza: "Riguardo alla velocità del natante, sostiene che nessuna norma locale imponga che un aliscafo viaggi in dislocamento fino all'uscita della rada di (Omissis)..., inoltre non sarebbe vero che l'aliscafo abbia navigato sulle ali nonostante fosse ancora in rada, perché invece ha navigato in dislocamento fino al limite imposto".) nel prosieguo così si legge alla pag. 9 dell'impugnata sentenza: "Con riguardo al presunto travisamento operato dal primo giudice circa il riferimento all'Ambito portuale di (Omissis) ex art. 4, comma 5 ord. 32/2012 (rubricato "Ambito portuale di (Omissis)", v. pag. 43 della sentenza impugnata), si evidenzia come ciò non vale ad inficiare la prospettiva accusatoria, recepita dal Gup. Ed invero, la medesima prescrizione - ossia quella per cui "dovranno essere seguite esclusivamente rotte perpendicolari alla costa e solo alfine di raggiungere/lasciare il proprio posto di ormeggio/ancoraggio" - era richiamata anche all'art. 3, comma 3 dell'ordinanza, il quale è applicabile all'intera rada di (Omissis), ossia la zona ricompresa tra il limite esterno dell'ambito portuale e la linea congiungente (Omissis) (come riportato dalla cartina allegata)."
La contestazione di cui al capo a), però - sembra dimenticare la Corte distrettuale - non fa riferimento alla direzione della rotta in uscita dal porto di (Omissis), ma alla velocità tenuta dall'unità, ritenuta troppo elevata rispetto alla normativa vigente nella rada del porto di (Omissis).
Così tale contestazione viene colà sintetizzata: "navigava con assetto planante, nonostante fosse ancora in navigazione in rada" e come tale viene condivisa dal G.U.P. di prime cure: "il Com.te A. ha impostato il passaggio dell'assetto dell'aliscafo (Omissis) dall'assetto dislocante all'assetto planante prima del dovuto, ovvero quando si trovava ancora nell'area di rada del porto di (Omissis) ".
In merito, la Corte di Appello di Messina traviserebbe del tutto il gravame difensivo, erroneamente rispondendo, con motivazione palesemente illogica, a doglianze che si sarebbero attagliate sulla rotta che avrebbe dovuto seguire l'aliscafo, invero invece mai ab origine contemplate dalla imputazione sub capo a).
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
Il PG presso questa Corte ha fatto pervenire in data 8.2 2023 una memoria scritta con cui anticipava le ragioni poste a sostegno della propria richiesta di rigetto del ricorso.
Le parti hanno reso le proprie conclusioni all'odierna pubblica udienza come riportate in epigrafe.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi sopra illustrati sono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato.
Le censure del ricorrente, invero, si sostanziano, per lo più, nella riproposizione delle medesime doglianze già sollevate in appello, senza che vi sia un adeguato confronto critico con le risposte a quelle fornite dai giudici del gravame del merito.
Per contro, l'impianto argomentativo del provvedimento impugnato appare puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità.
2. In primis, quanto alla denunzia di violazione dell'art. 192 c.p.p. di cui al primo motivo, va ricordato che, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte di legittimità, cui il Collegio aderisce, poiché la mancata osservanza di una norma processuale intanto ha rilevanza in quanto sia stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, come espressamente disposto dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), non è ammissibile il motivo di ricorso in cui si deduca la violazione dell'art. 192 c.p.p., la cui inosservanza non è in tal modo sanzionata" (così questa Sez. 4, n. 51525 del 4/10/2018, M., Rv. 274191; in conformità v., già in precedenza, Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017, Pecorelli e altro, Rv. 271294; Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567; Sez. 6, n. 7336 del 8/1/2004, Meta ed altro, Rv. 229159-01; Sez. 1, n. 9392 del 21/05/1993, Germanotta, Rv. 195306; più recentemente, v. Sez. 6, n. 4119 del 30/05/2019, dep. 2020, Romeo Gestioni s.p.a., Rv. 278196).
Va anche ricordato - sempre in relazione al primo motivo di ricorso con cui si lamenta la violazione dell'art. 111 Cost., comma 6 - che la denuncia di violazione di norme costituzionali o di norme CEDU non integra un caso di ricorso per cassazione a norma dell'art. 606 c.p.p., lett. b), ma legittima la proposizione della questione di legittimità costituzionale (Sez. 2" n. 677 del 10/10/2014 dep. 2015, Di Vincenzo, Rv. 261551). Il che non è avvenuto nel caso in esame.
Il principio che è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale si deduce la violazione di norme della Costituzione o della CEDU, poiché la loro inosservanza non è prevista tra i casi di ricorso dall'art. 606 c.p.p. e può soltanto costituire fondamento di una questione di legittimità costituzionale è stato anche ribadito di recente (Sez. 2, n. 12623 del 13/12/2019 dep. 2020, Leone, Rv. 279059 che ha sottolineato, quanto alla censura riguardante la presunta violazione della CEDU, che le sue norme, per come interpretate dalla Corte EDU, rivestono il rango di fonti interposte integratrici del precetto di cui all'art. 117 Cost., comma 1, sempre che siano conformi alla Costituzione e compatibili con la tutela degli interessi costituzionalmente protetti).
3. Va evidenziato che, alla luce dei contenuti dell'atto di appello del 21/10/2019 a firma dell'Avv. Romano Luca, legittimamente il provvedimento impugnato opera un esplicito richiamo per relationem alla sentenza di primo grado (così a pag. 3 ove la Corte messinese scrive "Quanto enunciato in fatto nella parte motiva della sentenza impugnata e non contestato deve intendersi qui richiamato").
L'atto di gravame nel merito, infatti, anche confusamente, si è limitato a riproporre tutte le difese già spese nel corso del processo di primo grado, per cui la pronuncia impugnata si è mossa nel solco della costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui deve essere ritenuta pienamente ammissibile la motivazione della sentenza d'appello per relationem a quella della sentenza di primo grado, quando le censure formulate contro la decisione impugnata, come nel caso che ci occupa, non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi.
Il giudice di secondo grado, infatti, nell'effettuare il controllo in ordine alla fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è chiamato ad un puntuale riesame di quelle questioni riportate nei motivi di gravame, sulle quali si sia già soffermato il prima giudice, con argomentazioni che vengano ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate.
In una simile evenienza, infatti, le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni vi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, di guisa che le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (confronta l'univoca giurisprudenza di legittimità di questa Corte: per tutte Sez. 2 n. 34891 del 16/5/2013, Vecchia, Rv. 256096; conf. Sez. 3, n. 13926 del 1/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615).
Nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto, inoltre, a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Muià ed altri, Rv.254107; conf. Sez. 6, n. 34532 del 22/06/2021, Depretis Rv. 281935).
La motivazione della sentenza di appello è del tutto congrua, in altri termini, se il giudice d'appello abbia confutato gli argomenti che costituiscono l'"ossatura" dello schema difensivo dell'imputato, e non una per una tutte le deduzioni difensive della parte, ben potendo, in tale opera, richiamare alcuni passaggi dell'iter argomentativo della decisione di primo grado, quando appaia evidente che tali motivazioni corrispondano anche alla propria soluzione alle questioni prospettate dalla parte (così si era espressa sul punto sez. 6, n. 1307 del 26/9/2002, dep. il 2003, Delvai, Rv. 223061).
E' stato anche sottolineato da questa Corte che in tema di ricorso in cassazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1 lett. e), la denunzia di minime incongruenze argomentative o l'omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non possono dar luogo all'annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l'esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell'impianto argomentativo della motivazione (Sez. 2, n. 9242 dell'8/2/2013, Reggio, Rv. 254988).
Nel giudizio di appello, è consentita la motivazione "per relationem" alla pronuncia di primo grado, nel caso in cui le censure formulate dall'appellante non contengano elementi di novità rispetto a quelle già condivisibilmente esaminate e disattese dalla sentenza richiamata (Sez. 2, n. 30838 del 19/3/2013, Rv. 257056).
4. Peraltro, nel caso in esame la Corte messinese non si è limitata a richiamare la sentenza di primo grado, ma ha risposto puntualmente, alle contestazioni operate sui singoli punti che oggi vengono riproposti all'attenzione di questa Corte di legittimità senza un reale confronto critico con la motivazione del provvedimento impugnato.
Come ricorda la sentenza di appello, in data (Omissis), alle ore 20:25 circa, proveniva una segnalazione di emergenza "May Day" dalla sala operativa del comando, tramite V.H.F., da parte del di A.S., Comandante dell'Aliscafo "(Omissis)." della società "Liberty Lines", partito da (Omissis) alle ore 20:15 circa e diretto al porto di (Omissis). Questi, in particolare, riferiva di essere entrato in collisione con il promontorio di (Omissis), nell'isola di (Omissis), subito dopo la partenza dal molo di (Omissis), circa 100 metri al di fuori delle ostruzioni portuali, e comunicava che a bordo vi erano 41 passeggeri e 6 persone di equipaggio. La dinamica antecedente allo scontro vedeva l'aliscafo virare a sinistra non prima di aver aumentato i nodi di percorrenza una volta superati i 300 metri dall'ambito portuale. Sennonché, pochi istanti dopo la virata, a soli dieci minuti dalla partenza, il veicolo impattava violentemente sugli scogli di (Omissis), arrestandosi sugli stessi.
Va preso atto che il ricorrente abbandona in questa sede il profilo di censura afferente al nesso di causalità (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata), ovvero il tema dell'incidenza causale delle omissioni dell'imputato sulla causazione del sinistro, per concentrarsi sulla mancanza di colpa in capo al Comandante A.. In primis, in quanto l'evento sarebbe da attribuire ad un'improvvisa perdita di visibilità del (Omissis) per un piovasco che ebbe a coprirlo. E il secondo perché non vi sarebbe stata alcuna violazione di norme in punto di velocità e di assetto che dovesse tenere l'aliscafo in quel punto di mare ove ebbe a realizzarsi il naufragio.
Il primo motivo di impugnazione si spende molto su quella che sarebbe l'inesatta collocazione da parte dei giudici del gravame del merito del "piovasco" riferito dall'odierno ricorrente.
La tesi difensiva è che la Corte territoriale avrebbe frainteso l'affermazione del comandante del natante, che mai avrebbe riferito, con una dichiarazione perciò concorde con quanto affermato dagli altri membri dell'equipaggio, che il piovasco fosse sulla nave, in quanto aveva da subito detto che tale fenomeno metereologico aveva interessato l'isola di (Omissis) e in particolar modo il (Omissis), rendendo quest'ultimo non visibile a lui ed alla strumentazione radar.
Va evidenziato, da subito, che, più che di fronte ad un travisamento della prova, siamo di fronte ad una sollecitazione che il ricorrente opera a questa Corte di legittimità di rivalutazione -evidentemente non consentita in questa sede di legittimità- del materiale istruttorio (la consulenza tecnica di parte, le informazioni meteo, le dichiarazioni dell' A. e quelle dei membri dell'equipaggio) già argomentatamente vagliato dai giudici di merito.
Non va trascurato che, questa Corte, con orientamento che il Collegio condivide e ribadisce, ritiene che, in presenza di una c.d. "doppia conforme", ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie, riguardante l'affermazione di responsabilità), il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l'argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (cfr. Sez. 4, n. 19710/2009, Rv. 243636 secondo cui, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006, è ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un'informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell'ipotesi in cui l'impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c. d. doppia conforme, superarsi il limite del "devolutum" con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d'appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice; conf. Sez. 2, n. 47035 del 3/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 4, n. 5615 del 13/11/2013 dep. 2014, Nicoli, Rv. 258432; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 dep. 2014, Capuzzi ed altro, Rv. 258438; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016 dep. 2017, La Gumina ed altro, Rv. 269217).
Nel caso di specie, al contrario, la Corte di appello ha riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio già sottoposto al vaglio del tribunale e, dopo avere preso atto delle censure degli appellanti, è giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilità dell'imputato che, in concreto, si limita a reiterare le doglianze già incensurabilmente disattese dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa lettura" delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture, senza documentare nei modi di rito eventuali travisamenti degli elementi probatori valorizzati.
5. Diversamente da quanto opina il ricorrente le argomentazioni da parte dei giudici del gravame del merito prescindono dalle condizioni metereologiche.
Con una motivazione analitica e prova di aporie logiche sia del giudice di primo grado che di quello di secondo grado - che ha puntualmente risposto alle censure difensive - si pone l'accento su quelle che sono state delle violazioni di norme cautelari che, indipendentemente dalla situazione metereologica, imponevano al comandante di apprestare un'organizzazione del personale di bordo e dell'uso della strumentazione tale da non correre pericoli durante la manovra notturna di allontanamento dal porto.
Peraltro la tesi difensiva secondo cui dalle previsioni metereologiche si evinceva che la zona di cui ai fatti imputati all'odierno ricorrente sarebbe stata interessata da locali precipitazioni, sia che le stesse fossero in mare che, come si sostiene, sulla terraferma, imponeva ancor più che la rotta fosse stata predeterminata, manualmente con le carte o attraverso la strumentazione automatica di bordo, ci fosse una vedetta a supportare il comandante nella manovra, che venisse mantenuta una velocità prudenziale e che non si attivasse anzitempo la navigazione sulle ali.
Secondo la logica motivazione della Corte territoriale, con riguardo alla presenza di un piovasco sul luogo del fatto al momento del sinistro, le affermazioni dell' A., unitamente alle documentazioni meteo allegate dalla Difesa e riproposte in questa sede, non risultano idonee a sconfessare quanto riferito da tutti gli altri membri dell'equipaggio, i quali hanno precisato che quella sera il cielo era sereno ed il mare calmo. In tal senso, è stato logicamente ritenuto verosimile che la documentazione prodotta dall'appellante possa anche fare riferimento ad un momento successivo al sinistro, o comunque ad un luogo diverso dalla rada.
Va ricordato che, al di là del fatto che ci si trovi di fronte ad una doppia conforme affermazione di responsabilità e di ogni valutazione circa il novum che ad avviso del ricorrente sarebbe stato introdotto dal giudice di appello di cui si è detto poc'anzi, il dedotto travisamento della prova, per essere rilevante, deve riguardare un elemento decisivo del percorso motivazionale e tale non pare essere l'esatta collocazione di un eventuale piovasco. Ciò a fronte, peraltro, il dato incontrovertibile riferito da entrambi i giudici di merito che quella sera si era in una situazione di navigazione tranquilla.
I motivi proposti non scardinano il percorso motivazionale del provvedimento impugnato, finendo per non contrastare criticamente le argomentazioni dei giudici di merito - le cui sentenze, trattandosi di doppia conforme affermazione di responsabilità vanno lette come un tutt'uno - in relazione ai principali profili di colpa omissiva addebitati all' A.. A cominciare dalla mancata predisposizione di un servizio di vedetta da parte di un membro dell'equipaggio che lo coadiuvasse nelle manovre di uscita e di allontanamento dall'isola di (Omissis).
6. La sentenza di primo grado è molto articolata ed analitica.
Alle pagg. 7 e seguenti si dà conto di quanto dichiarato dai vari membri dell'equipaggio, a cominciare dal direttore di macchina F., che venne sentito la stessa sera dei fatti e che si trovava in plancia di comando con il comandante A. e con il mozzo L.A.. A seguire, a pag. 8 con il L., che ebbe a confermare che, quando occorse l'incidente, era intento a verificare il numero dei passeggeri per la successiva comunicazione al (Omissis) e che ha dichiarato che in ordine alle condizioni di mare era tutto tranquillo, aggiungendo che il Comandante A. non aveva dato alcun ordine specifico in relazione alla presenza di vedette in plancia per la navigazione notturna, né aveva rappresentato loro delle difficoltà per il viaggio Che si andava ad intraprendere (pag. 9). Ancora, a pag. 9 si dà conto delle sommarie informazioni rese da D.9Taranto R., che ebbe a confermare agli inquirenti che avrebbe dovuto essere in plancia di vedetta a coadiuvare il comandante, ma che, al momento dell'incidente, non era ancora riuscito ad accedervi in quanto stava ancora eseguendo i routinari controlli presso i saloni.
A pag. 10 la sentenza di primo grado ricorda che S.M. ha precisato, quanto al radar di essere sicuro che lo stesso fosse acceso. Quindi a seguire che il motorista G.G. ha confermato di avere sempre visto un marinaio anziano, che riteneva essere T.R., coadiuvare il comandante per la navigazione notturna.
Già il giudice di primo grado, a pagina 12 della propria sentenza, dava atto del contenuto della denuncia di evento straordinario presentata dall'odierno ricorrente, ove si faceva riferimento a un intenso piovasco che non gli avrebbe permesso di vedere (Omissis). E dà anche atto, a pagina 12 che, secondo quanto è dato di evincere dall'annotazione in questione, le condizioni meteo sarebbero peggiorate solo al termine delle operazioni di salvataggio.
In ordine al radar si attestava che dal sopralluogo tecnico esperito dal Comandante M. con il tecnico della società "Liberty Lines" era emerso che lo stesso era impostato su on, ma che la circostanza che lo stesso fosse in effetti in trasmissione avrebbe potuto trovare conferma solo dalle registrazioni VDR qualora attive.
Ancora, a pag. 14 il giudice di primo grado ricordava la circostanza che il comandante era l'unico ufficiale di coperta con i titoli professionali idonei per la navigazione, per la programmazione della rotta in sicurezza del mezzo e per set-tare ed utilizzare la strumentazione tecnica nonché l'unico responsabile della manovra. E alle pagg. 15 e ss. dava conto in maniera articolata delle risultanze della consulenza tecnica redatta dall'Ing. Navale R.A. su incarico del Pm, a seguito degli accertamenti eseguiti anche attraverso ispezioni a bordo del mezzo.
Si tratta di dati su cui si fonda appieno l'affermazione di responsabilità, confermati anche dalla sentenza impugnata, che non risultano contrastati criticamente né dal gravame nel merito e nemmeno dall'impugnazione odierna.
Viene ricordato che in data 13/11/2017 il tecnico visionava e prendeva copia delle registrazioni di rotta oggetto delle indagini dell'Autorità Marittima, condividendo le considerazioni dell'inchiesta sommaria effettuata da quest'ultima. A tale riguardo è dato infatti leggere che: "I dati sulla rotta seguita sono incontestabili. Essi costituiscono il tracciato fatto con i punti di rilevamento satellitare del GPS di bordo, la loro elaborazione attraverso l'impianto AIS per l'identificazione dell'aliscafo nel controllo del traffico marittimo, al sistema VTS gestito dal C. G. C. P. (...) La rotta trasmessa dall'impianto AIS coincide con quella del bersaglio raggiunto dall'aliscafo e sarebbe coincisa anche con quella dell'ECDIS, se si fosse avuta prova di registrazione, in quanto entrambe espressione della funzione analitica avente come variabile il punto nave comunicato dallo stesso GPS di bordo".
Venivano inoltre ispezionati i motori, gli invertitori, gli assi e le eliche, in particolare gli accoppiamenti delle linee di propulsione di dritta e sinistra e i collegamenti con i comandi di plancia e non veniva riscontrata alcuna irregolarità.
Si procedeva altresì alla verifica dei profili portanti delle ali e dei telai dei profili alari senza trovare elementi danneggiati o deformati che avessero potuto determinare o modificare la stabilità di rotta e variare anche minimamente la direzione della prora.
I danni meccanici riscontrati nelle ali e nel fasciame di carena con apertura di falle nel corpo prodiero - secondo i rilievi del tecnico - sono da considerarsi postumi e provocati dall'urto contro il fondale; le deformazioni delle pale delle eliche, con pieghe nella direzione controrotante, sono congruenti con il verso della rotazione in direzione di avanzamento e presentano accartocciamenti per contatto con il basso fondale.
Il consulente poi attestava che: "I timoni sono con barra tutta a dritta ed evidenziano il corretto funzionamento dell'impianto di manovra fino all'istante della collisione in cui tale manovra è stata suggerita a viva voce dai mozzo signor L., figura anche se non qualificata, ma necessaria a supportare il Comandante, solo a gestire tutte le procedure di controllo e manovra inerenti la cartografia, la comunicazione e la rotta, solo dopo essere completato, insieme ai marinai il servizio di verifica passeggeri, non ritenuto assolutamente oggetto della stessa priorità".
Pertanto, atteso che il direttore di macchina F. e il motorista G. dichiaravano di non avere notato alcuna avaria, il consulente tecnico deduceva da ciò "che gli apparati di propulsione e manovra timoni fossero in efficienza in quanto la rotazione delle pale dei timoni con barra tutta a dritta era richiesta qualche attimo prima dell'incaglio, troppo tardi per una rapida variazione ed evoluzione della rotta seguita". E in ordine alla posizione del mezzo dichiarava che: "i timoni erano ormai senza battente d'acqua e l'aliscafo in assetto sulle ali configurazione confermata dal Direttore di Macchina che fa coincidere questa variazione d'assetto con una breve pausa per spegnere le luci di plancia e dal motorista Gangitano che dichiara che era in ispezione in apparato motore quando il Comandante ha iniziato la planata (sostentamento sulle ali). Si piana a circa 1600-1700 giri/min. La riduzione dei giri e la variazione della incidenza dei flaps è stata chiesta in fase di collisione e come tale ha sortito alcun effetto. Le ali non si potevano immergere in quanto la traversa bassa orizzontale toccava giù con il fondale stimato di circa un metro".
Incontestato, dunque, è che l'urto con incaglio era avvenuto con piena efficienza di propulsione, senza omissioni delle procedure di gestione dell'apparato motore per deficienza o errata conduzione degli impianti.
Le conclusioni del consulente tecnico, fatte proprie sin dal primo grado dai giudici del merito, sono nel senso che non risultassero, invece, correttamente applicate le procedure propedeutiche per l'inizio della navigazione e per la sicura conduzione dell'aliscafo anche richieste dal Codice di Sicurezza ISM adottato dalla Armatoriale Liberty Lines, revisione del 26/01/2015 da pag. 1 a pag. 10. Infatti, il Comandante A., subito dopo il disormeggio (attività che impegnava anche l'equipaggio per mollare le cime), non ha disposto con accortezza che uno dei due marinai fosse in plancia per vedetta ed assistenza alla navigazione, alle comunicazioni VHF, regolazione di luci, controllo dei dati di rotta Gps e radar.
Inoltre, il tecnico prima e i giudici poi, danno atto che non si ha riscontro della programmazione della rotta da parte del Comandante né con manuale cartografia (carta nautica), né con programmazione digitale ECDIS.
A parere del tecnico, infatti, doveva ritenersi che il sistema ECDIS non fosse funzionante, in quanto in caso contrario il Comandante A. avrebbe disatteso la segnalazione di errore che emette quando la rotta seguita non coincideva con quella programmata e corretta dell'impianto. Ma, atteso che la rotta dell'ECDIS e quella dell'AIS di cui si ha traccia non potevano essere diverse, in quanto derivate dallo stesso rilevamento GPS di bordo, era logicamente da ritenersi che il sistema in questione non fosse funzionante.
In ordine alla posizione del mezzo al momento della collisione per il tecnico doveva poi affermarsi che lo stesso era in assetto planante, nonostante fosse in navigazione in rada, dato ricavabile dalle dichiarazioni dei marittimi e segnatamente da quelle del motorista G., il quale evidenziava la variazione d'assetto dell'aliscafo da dislocante a planante quando lo stesso si trovava ancora in apparato motore, ove evidentemente aveva la possibilità di controllare i ripetitori dei contagiri.
Il consulente poi, come ricorda ancora la sentenza di primo grado, affermava che non risultavano programmate, con la corretta propedeuticità, le attività prioritarie di sicurezza che l'equipaggio avrebbe dovuto seguire. Il Comandante, infatti, per la sua sezione navigazione, era solo in plancia e navigava con assetto planante, mentre i tre marittimi destinati alla coperta, S., T. e L. erano dediti al controllo dei passeggeri nei saloni. Ma il controllo ed il computo dei passeggeri è un'attività che deve essere eseguita o prima della partenza o in navigazione.
Già il giudice di primo grado, alle pagg. 24 e ss. della propria sentenza, si era confrontato con le dichiarazioni dell'imputato, il quale, quanto alla presenza di L.A. sul ponte di comando, ha dichiarato di avergli dato disposizione che una volta ultimato il servizio di controllo dei biglietti e di conta dei passeggeri alla partenza del mezzo avrebbe dovuto registrare sull'apposita scheda tale numero; gli aveva dato inoltre istruzioni sull'uso del VHF al fine di comunicare i dati di partenza al (Omissis), dopodiché sarebbe dovuto rimanere sul ponte a fornirgli ausilio.
Tutto sommato, a ben vedere, si tratta di una dichiarazione che coincide con quella del L. stesso che comunque, quando si è verificato il sinistro, non si era ancora liberato della prima incombenza relativa al conteggio e alla comunicazione del numero dei passeggeri.
7. La Corte territoriale, rispondendo compiutamente a quanto propostole con l'atto di appello, ha ribadito come primo elemento certo sia che, contrariamente a quanto sostenuto dall' A., non era il L. la persona solitamente addetta al servizio di vedetta, bensì il T.. Il quale, come da lui spiegato, la sera dell'incidente non ha fatto in tempo a recarsi al solito posto in plancia, perché si trovava ancora nel salone quando è avvenuto il sinistro.
Ricordano i giudici di appello che la presenza del L. nei pressi del Comandante, peraltro, è stata spiegata dallo stesso mozzo non in funzione del compito di vedetta, bensì per le comunicazioni inerenti il conteggio dei biglietti, quindi dei passeggeri a bordo. Ne' risulta, al di là dell'affermazione dell'imputato, che in concreto nella circostanza il L. abbia svolto funzioni di vedetta. E che è sintomatico come costui abbia clamorosamente sconfessato l'affermazione dell'imputato, il quale ha evidentemente voluto far credere che il marinaio presente in plancia al momento dell'impatto fosse proprio la persona che egli avrebbe scelto ed istruito ad inizio stagione per svolgere, giorno e notte, tale compito. Egli, come gli altri componenti l'equipaggio, del resto, ha infatti eloquentemente affermato che era il T. a svolgere normalmente tale compito.
Al di là di ciò - ed in disparte il dato che sembra, da quanto emerso, che a svolgere tale funzione fosse in realtà "chi capitava" - a confermare l'opinione del Gup secondo cui il Comandante non attribuisse a tale funzione di vedetta la rilevanza che invece sembra trarsi dal citato art" 5, è per i giudici di secondo grado la circostanza che, alla partenza del mezzo, neanche il L. fosse in plancia, essendosi ivi recato quando l'aliscafo era già partito, tanto è vero che, dopo avere effettuato il conteggio dei passeggeri si era girato verso l' A. e, avvedutosi che costui stata effettuando la manovra per la planata, aveva personalmente provveduto "per non disturbare" a contattare tramite il VHF il Circomare.
E' di solare evidenza, quindi, anche per i giudici del gravame del merito, che il L., che peraltro si trovava sul ponte di comando per ragioni diverse dal compito di vedetta, fosse in tutt'altro affaccendato e di ciò l'imputato, partito senza attendere che vi fosse alcuno accanto a lui a ciò addetto ed ovviamente resosi conto, anche dopo, della assenza nei suoi pressi di una vedetta, abbia ciononostante proseguito, pur in orario notturno allorquando è più stringente la necessità di un collaboratore che segnali ostacoli. E la mancanza ditale apporto ha avuto la sua drammatica conseguenza con lo schianto dell'aliscafo sul promontorio, che certamente l'attenta presenza al fianco del Comandante di una vedetta avrebbe reso meno probabile. Significativo, anzi dirimente, viene ritenuta sul punto la seguente dichiarazione di L.: "Come ho finito la comunicazione via radio, il comandante della nave diceva "non vedo le luci, non vedo le luci" quindi ho visto di prua e ho visto tutto nero, ho detto al Comandante "tutto a dritta, tutto a dritta" ad alta voce. Nel mentre che dicevo le parole precedentemente indicate, ho visto il Comandante che già dava il timone a dritta. Però ero ormai consapevole che eravamo in rotta di collisione. Sono rimasto sotto shock, poi ho tentato di scendere per la scaletta dai passeggeri per avvisarli".
Concordemente con il giudice di primo grado, pertanto, la Corte messinese conclude che l' A. ha volontariamente rinunciato ad avvalersi dell'apporto di una vedetta la cui presenza, visto quanto accaduto, sarebbe stata invece quanto mai opportuna, se non addirittura necessaria.
Coerente appare, inoltre, il rilievo, che, d'altro canto, se il L. avesse avuto il ruolo di vedetta, peraltro fin dall'inizio di stagione come riferito dal Comandante, avrebbe potuto segnalare l'assenza di luci all'orizzonte sensibilmente prima, accorgendosi (per sua specifica mansione) della rotta erronea che l'aliscafo stava percorrendo. E che la circostanza che il L. abbia utilizzato il VHF durante la fase di partenza non ha in alcun modo influito sul verificarsi dell'evento.
8. In punto di affermazione di responsabilità, già il giudice di primo grado aveva chiarito come non potesse trovare applicazione nel caso concreto l'aggravante per il naufragio prevista dall'art. 1122 c.n. essendo la stessa prevista unicamente per l'ipotesi dolosa di cui all'art. 428 c.p., non contestata all'imputato. E come parimenti non potesse logicamente essere integrata la contravvenzione di cui all'art. 1231 c.n. atteso che la norma richiamata contiene espressamente una clausola di sussidiarietà che ne impedisce l'applicazione se il fatto costituisce già di per sé un più grave reato, come nel caso di specie.
Pertanto, aveva chiarito (pag. 27 della sentenza di primo grado) che l'imputato andava mandato assolto dall'ipotesi di reato di cui alla disposizione indicata, circoscrivendone la responsabilità.
Quanto all'ipotesi di cui all'art. 428 in relazione all'art. 449 c.p., comma 2 contestata al medesimo capo a della rubrica, quindi alla contestazione colposa, in realtà, non corrisponde al vero l'affermazione difensiva di cui all'odierno ricorso secondo cui, alla fine, il GUP avrebbe ritenuto convalidata l'ipotesi accusatoria solo in relazione al mancato approntamento della vedetta.
Come si legge a pag. 28 della pronuncia di primo grado, il GUP ha ritenuto che A.S., quale comandante dell'aliscafo (Omissis)., abbia cagionato per colpa il naufragio dell'unità navale contro il promontorio di (Omissis) avendo omesso, di porre in essere tutte le procedure di sicurezza per la navigazione dell'aliscafo con a bordo 41 passeggeri e 5 persone di equipaggio, in partenza da (Omissis) alle ore 20:15 circa e diretto al porto di (Omissis).
Tra queste procedure di sicurezza vi era senz'altro quella di prevedere che almeno uno dei marinai dell'unità fosse in plancia di comando per provvedere a vedetta e assistenza alla navigazione, specialmente in tratte notturne come quella di specie. Infatti, da quanto emerso, in base alla tabella di armamento del (Omissis), rilasciata dal Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, l'equipaggio era composto dal Comandante A., dal Direttore di Macchina ( F.F.), dall'Operaio motorista ( G.G.) e da tre marinai ( S.M., L.A. e T.R.). Ciascuno dei marinai aveva quindi delle funzioni specifiche, ma nessuno di essi, per disposizione impartita dal Comandante, aveva l'ordine programmato di fungere da vedetta in plancia e di assistere alla navigazione. Ciò si evince da diversi elementi probatori ricavabili dalle dichiarazioni rese dagli stessi marittimi.
E' vero, dunque, che, già il giudice di primo grado aveva rilevato come non si comprenda come, durante le manovre di partenza dell'aliscafo, potesse considerarsi di secondaria importanza l'attività di vedetta in ausilio al comandante rispetto al controllo routinario nei saloni, ciò evidenziando l'assenza di una programmazione dell'attività efficiente e promanante da un soggetto qualificato come il comandante.
Dunque, come si evince alle pagg. 34 e ss. della pronuncia di primo grado, da quanto emerso in sede di indagini, atti tutti pienamente utilizzabili essendosi proceduto con il rito abbreviato, veniva già in primo grado affermato come l'odierno ricorrente avesse per colpa omesso di disporre, in modo puntuale e specifico, che uno dei marinai fosse in plancia per la vedette l'assistenza alla navigazione. Ciò non essendo stato in alcun modo riscontrato che fosse stato scelto per tale incombenza L.A., avendo il giudice di prima istanza ritenuto che le dichiarazioni in tal senso rese dall'imputato siano state determinate solo dalla necessità di giustificare in un certo qual modo quanto era accaduto, mentre la presenza del L. in plancia aveva altra spiegazione come evidenziato.
Si è ritenuto sin dal primo grado, dunque, specificamente violata dall'odierno imputato, anche la disposizione di cui all'art. 5 del Col. Reg. 1972 ratificato con la L. n. 1085 del 1977, secondo cui: "ogni nave deve mantenere sempre un appropriato servizio di vedetta visivo ed auditivo, utilizzando tutti i mezzi a disposizione adatti alle circostanze ed alle condizioni del momento in modo da consentire una completa valutazione della situazione e del rischio di abbordaggio (urto o collisione)".
Tale servizio di vedetta visivo ed auditivo non era stato in alcun modo predisposto dall'imputato, ma era lasciato alla estemporanea iniziativa dei membri dell'equipaggio, i quali dopo aver espletato le loro specifiche mansioni controllavano fra loro chi fosse salito in plancia, regolandosi di conseguenza.
Tuttavia, già il giudice di primo grado ha ritenuto che anche in ordine alla comunicazione via VHF dovesse evidenziarsi altra omissione rilevante dell'odierno ricorrente, in quanto la sera dei fatti tale comunicazione veniva svolta in via estemporanea dal mozzo L., che ebbe a dichiarare di avervi provveduto personalmente in quanto il comandante era impegnato e non voleva disturbarlo, senza che avesse un ordine specifico in tal senso.
Addirittura il L. precisava di avere familiarità con lo strumento, ma, osservava già il GUP, sul punto doveva e deve ritenersi auspicabile che l'utilizzo della strumentazione di bordo su un'unità navale con 41 passeggeri non sia affidata a tale tipo di naturale propensione ma ad una qualificazione ad hoc.
Peraltro, si dà atto in sentenza che lo stesso imputato, nel suo esame, precisava che, non essendovi ufficiali di coperta a bordo della scafo oltre a lui, nessun marinaio era in possesso della certificazione abilitativa all'uso della strumentazione di bordo, ad eccezione del direttore di macchina che poteva usare unicamente in radiotelefono o il VHF.
Già il giudice di primo grado, dunque, aveva logicamente rilevato come non si comprende per quale ragione la sera dei fatti se ne sia occupato "per familiarità" il mozzo L. e come, con la dichiarazione in questione, l'imputato contraddica se stesso quando, in un altro passaggio del suo esame, dichiarava che, sempre a inizio stagione, aveva istruito il mozzo all'uso del VHF per la trasmissione dei dati in quanto ciò non soltanto non era consentito ma veniva smentito dallo stesso L..
Con tali condotte l'odierno ricorrente, dunque, come già rilevato in primo grado violava le disposizioni richiamate nel capo a) della rubrica ascrivibili al già ricordato Regolamento per evitare gli abbordi in mare adottato dalla Convenzione Internazionale Col. Reg. 1972 ratificata con la L. n. 1085 del 1977.
Dunque, l'odierno ricorrente spende gran parte dei propri argomenti per affermare l'esatta collocazione del piovasco o l'assoggettamento o meno del punto dell'incidente alle normative sulla rada di (Omissis), ma non si confronta criticamente con le altre specifiche violazioni contestategli. Come quella di cui all'art. 4 della normativa appena citata, secondo cui - come ricorda a pag. 36 il giudice di primo grado - la condotta di navigazione di cui alla sezione 1^, obbligatoria per ogni mezzo navale deve essere applicata in ogni condizione di visibilità. Dunque, aveva già chiarito il GUP, "a prescindere da effettive restrizioni alla visibilità o alla sicurezza della manovra il comando di bordo è tenuto ad applicare le norme di cui alla Sezione I adottando il comportamento più cauto e prudente".
E come quella di cui all'art. 6 del Col. Reg., norma che prevede, altresì, che ogni nave debba procedere a velocità di sicurezza in modo da potere agire in maniera appropriata ed efficiente per evitare abbordaggi e poter essere arrestata entro una distanza adeguata alle circostanze ed alle condizioni del momento.
Perciò, avuto riscontro dalle dichiarazioni dei marittimi che l'aliscafo fosse in assetto planante, ovvero in assetto idrodinamico sulle ali, nonostante si trovasse ancora in rada i giudici di merito hanno ritenuto integrata anche tale violazione.
Ricordava il giudice di primo grado che nl motorista G. riferisce tale dato, facendo coincidere la sua presenza in apparato motore (ove aveva evidentemente sotto controllo i ripetitori dei contagiri) quando l'aliscafo era passato da assetto dislocante a planante. Dunque, l'aliscafo viaggiava già in rada ad una velocità elevata da 22 a 26 nodi circa, non in condizioni di sicurezza.
9. Il giudice di primo grado ha rilevato anche (pag. 37) che dalla ricostruzione della cinematica sulla scorta dei danneggiamenti dell'unità marittima in questione è anche da ritenersi che la velocità del mezzo fosse inadeguata e comunque pericolosa per la condizione della navigazione in quel momento.
Ciò perché anche il direttore di macchina F. confermava che la configurazione della scafo al momento dell'impatto sul promontorio di (Omissis) fosse sulle ali e dunque ad una velocità inadeguata, quando dichiarava in tale frangente si era voltato per cercare di spegnere gli interruttori di luce e di prua; lo stesso infatti precisava "chiaramente ho fatto il tutto dopo la planata quando ho controllato i parametri di macchina sul quadro fino a chi non c'eravamo stabilizzati".
Ricordava dunque già l'articolata ed analitica sentenza di primo grado come l'aliscafo di cui trattasi è realizzato per poter navigare con carena immersa dislocante in regime di bassa velocità, a nove nodi circa, con 900 giri motori al minuto, in una configurazione di sicurezza da mantenere nelle aree operative portuali ed in rada. L'unità, poi, può navigare, al di fuori da queste zone, in regime di alta velocità, a circa trenta nodi, con circa 1900 giri motori al minuto.
Il violento impatto verificatosi nel caso in esame - era stata la logica conclusione, supportata come visto da ampi dati tecnici - conferma che la riduzione dei giri e la variazione dell'incidenza dei flaps è stata chiesta in fase di collisione e come tale non ha sortito alcun effetto. Le ali, infatti, non si potevano immergere in quanto la traversa bassa orizzontale toccava già con il fondale stimato di circa un metro.
Nel caso specifico quindi, oltre al mancato approntamento della vedetta, è stato ritenuto che il Comandante A. non avesse tenuto una velocità che gli consentisse di evitare la collisione, arrestandola entro una distanza adeguata dall'ostacolo, secondo quanto emerso dagli atti.
Coerentemente con tale assunto è stata ritenuta, altresì, violata anche la disposizione di cui all'art. 7, lett. a), e) ed e) del Col. Reg. che impone la previa accurata valutazione da parte del Comandante dell'unità navale del rischio di abbordaggio, che in caso di dubbio, deve ritenersi esistente; tale norma impone inoltre di evitare di trarre conclusioni da insufficienti informazioni specialmente derivanti dal radar ed infine prescrive che, nel caso in cui non vi sia chiarezza nella condotta cinematica del mezzo nautico, valutati tutti i riscontri quali ECDIS, radar e carte, l'unità deve rallentare, fermarsi o addirittura invertire la rotta.
Nel caso di specie è stata, dunque, ritenuta certa l'errata valutazione del rischio di abbordaggio da parte dell'imputato, il quale, senza servizio di vedetta aggiuntiva, si era determinato a compiere da solo le procedure di manovra, di controllo e navigazione, peraltro senza supporto concreto del mezzo radar, con filtri applicati o in corso di applicazione e paventate interferenze meteo non sull'unità ma unicamente sopra l'ostacolo su cui impattava.
Specificamente violata è poi stata ritenuta la lettera e) della disposizione in esame, in quanto lo stesso imputato additava la causa dell'Urto al radar, atteso che per il piovasco improvviso sul promontorio, non aveva più una corretta indicazione dallo strumento sebbene tentasse di azionare i filtri.
Ma in tali casi - aveva già correttamente indicato il giudice di primo grado - la legge impone al Comandante dell'unità navale di evitare di trarre conclusioni da insufficienti informazioni radar, prescrivendo dunque che tali indicazioni debbano essere integrate da altre informazioni, come le carte nautiche e le rotte pianificate.
Lo stesso Comandante A. nel corso del suo esame -veniva ricordato dal GUP- lamentava le difficoltà riscontrate nell'uso del radar del tipo di quello in dotazione sul "(Omissis)", segnatamente un radar era a banda X ad alta frequenza con sei centimetri di lunghezza d'onda, che presentava il difetto di illuminarsi sullo schermo in presenza di interferenze. Bene avrebbe dovuto, dunque, lo stesso integrare tale strumento con altro tipo di informazioni nautiche, avendo già contezza degli errori che ingerivano sulle capacità risolutive del radar.
In presenza della situazione concreta verificatasi il giorno dei fatti, dunque, in cui il Comandante navigava a velocità elevata, ancora sotto costa, di notte senza supporto di vedetta visivo ed auditivo aggiuntivo, con un ausilio radar non efficiente, immune da censure di legittimità appare la concorde conclusione dei giudici di merito secondo cui avrebbe dovuto rallentare il mezzo o addirittura fermarsi per ristabilire tutte le condizioni di sicurezza della navigazione evitando quanto poi accaduto.
Per le medesime ragioni illustrate la condotta dell'imputato violava, infine, secondo quanto già affermato dal giudice di primo grado, anche la disposizione di cui all'art. 8 del Col. Reg. che prescrive le modalità delle manovre che devono essere intraprese dal Comandante per evitare l'abbordaggio, con decisione, ampio margine di tempo e con il dovuto rispetto delle buone regole dell'arte marinara. Di contro l'imputato tentava solo a ridosso del promontorio di virare con tutto il timone a dritta, ma l'unità navale aveva ormai perso ogni manovrabilità avendo già fatto ingresso nelle acque basse. L'urto peraltro avveniva, come sopra precisato, a velocità sostenuta come dimostrato dall'estratto del sistema Pelagus della Guardia Costiera.
A pag. 40 e seguenti il giudice di primo grado si occupava dell'altra contestazione effettuata all'odierno ricorrente sempre al capo a, ovvero quella di non avere programmato la rotta né con manuale cartografia né con la programmazione digitale E.C.D.I.S. E dopo avere dato atto delle varie opzioni tecniche che si sarebbero offerte rileva logicamente a pag. 42 che è inverosimile che fosse sconsigliato l'uso di una strumentazione elettronica che avrebbe programmato il tracciato della rotta da seguire per il fastidio arrecato dagli allarmi sonori dello stesso, in quanto nessuno dei marinai ha riferito la presenza di altre imbarcazioni circostanti l'aliscafo, che navigava peraltro in un orario e in un periodo dell'anno in cui la presenza di altre unità era di certo meno assidua. Logico era anche il rilievo che, tra gli allarmi fastidiosi, peraltro non sentiti da nessuno dei marinai presenti in plancia la sera dei fatti, vi sarebbe stato anche quello - molto importante - che avrebbe potuto segnalare l'imminente impatto contro il promontorio qualora il comandante avesse prudentemente deciso di programmare la rotta sull'E.C.D.I.S., con tutte le conseguenze del caso.
Per quanto tale strumentazione, come rilevato dalla Difesa non fosse una dotazione obbligatoria di bordo, viste le condizioni di navigazione, e segnatamente la circostanza che era l'unico ufficiale di coperta, che non aveva predisposto un apposito servizio di vedetta visivo ed uditivo in suo ausilio, vista la scarsa visibilità per l'orario notturno, le condizioni meteo che a suo dire avevano previsto quella sera la possibilità di piovaschi, vista inoltre la consapevolezza dell'esistenza di difetti che incidevano sulle capacità risolutive della tipologia di radar presente su quella unità, l'imputato avrebbe dovuto di certo adottare una condotta maggiormente cauta e professionale utilizzando anche tale strumentazione elettronica ed evitando così il grave sinistro realizzatosi. Il sistema in questione, come rileva il giudice di primo grado a pag. 42, era peraltro perfettamente funzionante, come emerso dagli accertamenti tecnici compiuti, ma ciononostante il comandante aveva deciso di non impostare volontariamente tale rotta digitale.
E la Corte territoriale ha pienamente condiviso le argomentazioni del Gup sul rilievo, con riguardo all'utilizzo dell'ECDIS e delle carte nautiche tradizionali, in relazione alle quali la linea difensiva è sempre stata che non sussiste un obbligo specifico di avvalersene, sul rilievo come ciò non equivalga a che non sia opportuno e prudente farne uso, soprattutto se in navigazione notturna e senza l'ausilio di un'apposita vedetta.
Rileva, peraltro, la Corte territoriale che la sera dell'incidente, l'imputato dichiarava di aver consultato l'ECDIS, il quale gli dava "posizione di sicurezza". A tal proposito, il consulente della Difesa chiarivà come non esista "una posizione di sicurezza indicata dall'ECDIS, né dal sistema AIS" in quanto "entrambi i sistemi indicano la posizione dell'unità che poi è valutata essere in sicurezza o meno dall'Operatore che legge tali apparati". Ma, come evidenziato anche dal primo giudice - alla cui motivazione sul punto i giudici di appello rinviano - l'ECDIS era sempre collegato al Gps dell'unità del veicolo, che condivideva 11 medesimo segnale di geolocalizzazione con il sistema AIS, il quale veniva a sua, volta trasmesso al sistema V.T.S. monitorato dalla Capitaneria di Porto. Quindi, se l' A. avesse realmente consultato l'ECDIS avrebbe dovuto notare l'errore di rotta in cui era incorso. E non avrebbe potuto essere altrimenti, dal momento che l'ECDIS, l'AIS ed il VTS condividevano il medesimo Gps dell'unità.
Coerente appare il rilievo, da parte dei giudici del gravame del merito, che a nulla rileva la circostanza che l' A. si sia asseritamente servito del radar e della bussola per percorrere la rotta in questione, in quanto tali strumenti non gli avrebbero comunque consentito di avere la massima visibilità, che gli era impedita dall'ora tarda in cui si verificava la percorrenza della tratta.
In tale contesto, la verosimile conclusione cui sono pervenuti entrambi i giudici di merito è che l'odierno ricorrente, per troppa sicurezza, confidando nella sua pluriennale esperienza, abbia ritenuto di non avvalersi dell'ausilio di una vedetta, salvo aver errato nell'effettuazione della virata, anticipando il momento esatto per virare a sinistra. D'altronde, se davvero avesse utilizzato la bussola, non si comprenderebbe per quale motivo non si sia avveduto di avere sbagliato la rotta. E in ogni caso il pronto ausilio di una vedetta avrebbe potuto avvertire l' A. di questa grave disattenzione, impedendo con elevata probabilità il devastante impatto.
10. Dunque, diversamente da quanto opina il ricorrente, che parcellizza il decisum dei giudici di merito e focalizza le sue difese su due questioni neanche dirimenti (l'esatta collocazione del piovasco e il fatto che l'aliscafo fosse o meno ancora, tecnicamente, all'interno dell'area portuale di (Omissis)) il quadro delle violazioni ascritte all' A., nella sua qualità, è ampio e ben spiegato sin dalla motivazione del giudice di prime cure.
E' vero, tuttavia, che quest'ultimo, quanto alla mancata predisposizione di un marinaio addetto al controllo delle luci, ha ritenuto che non possa rilevarsi alcuna irregolarità nella condotta dell'imputato, essendo tale mansione affidata al Direttore di macchina F., il quale dichiarava che dopo la planata e dopo avere controllato i parametri dopo che l'unità si era stabilizzata, si era girato verso la sua destra per spegnere gli interruttori delle luci di prua, anche se essendo buio aveva perso del tempo. In quel preciso frangente sentiva poi delle urla, segnatamente "un gran vociare confuso "vieni a dritta, scendi"", quindi vedeva d'improvviso la montagna di fronte e si verificava il forte impatto. E analoga considerazione ha formulato con riguardo alla contestazione relativa alla mancata predisposizione di uno dei marinai al controllo dei dati di rotta GPS e radar, laddove, secondo quanto pacificamente emerso, nessun marinaio a parte il Comandante A. aveva il titolo di ufficiale di coperta a bordo, quindi nessuno era in possesso della certificazione abilitativa all'uso della strumentazione di cui trattasi.
Diversamente da quanto sembra opinare il ricorrente, dunque, il giudice di primo grado non aveva ritenuto esistente solo la colpa di non avere approntato il servizio di vendetta, ma, in ragione di quella e dell'inesistenza su quel tipo di imbarcazione di altri ufficiali di bordo, anche quella di non aver utilizzato gli strumenti tecnologici che gli avrebbero potuto consentire di evitare l'impatto con il (Omissis).
Quanto alla velocità si ricorda a pagina 42 della sentenza di primo grado che sempre al capo a) viene contestato all'odierno imputato di avere navigato con assetto planante nonostante fosse ancora in navigazione in rada così violando gli artt. 3 e 4 dell'ordinanza numero 32 del 2012 dell'ufficio circondariale marittimo.
Sul tema è tornato costantemente l'odierno ricorrente
Con motivazione priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto già il giudice di primo grado aveva ritenuto che dovesse ritenersi, in linea generale, che se il Comandante A. avesse mantenuto la rotta perpendicolare alla costa in uscita dagli ormeggi per un tempo pari a 5 minuti ovvero il tempo di percorrenza media la rada arrotondato per eccesso il "(Omissis)" si sarebbe trovato oltre i limiti di rada e dunque oltre (Omissis).
La sentenza impugnata, nel confutare logicamente le riproposte argomentazioni difensive, evidenzia come sia lo stesso Gip a far riferimento ad una velocità di "oltre 21 nodi" (il richiamo è a pag. 43 della sentenza di primo grado), così in parte recependo quanto indicato dal consulente della difesa.
In secondo luogo, osserva la Corte messinese che, se è vero che non c'e' una norma che imponga uno specifico limite di velocità (e' lo stesso art. 3.1 ord. 32/2012 ad escludere gli aliscafi dai limiti di velocità imposti alle normali imbarcazioni all'interno della rada di (Omissis)), è anche vero che una velocità ridotta avrebbe fortemente limitato le possibilità di verificazione del sinistro.
A ben vedere, prosegue la logica motivazione del provvedimento impugnato, il reale problema sta nel fatto che il natante procedeva a velocità comunque sostenuta ed in un contesto già particolarmente rischioso, in cui il Comandante aveva virato sulla sinistra in modo eccessivo e senza una vedetta. E stata tale condotta particolarmente imprudente ad aver avuto prevalente efficacia eziologica sul sinistro, mentre la velocità di percorrenza, comunque sostenuta, ha dato un ulteriore contributo alla verificazione dell'evento, riducendo la possibilità di evitare l'impatto.
Dirimente, con riguardo al presunto e ribadito travisamento circa il riferimento all'Ambito portuale di (Omissis) ex art. 4, comma 5 ord. 32/2012 (rubricato "Ambito portuale di (Omissis)", v. pag. 43 della sentenza impugnata), è la considerazione del giudice del gravame del merito che, anche se vi fosse stato, non varrebbe ad inficiare la prospettiva accusatoria, recepita dal Gup. Ciò perché, come già evidenziato in precedenza, la medesima prescrizione - ossia quella per cui "dovranno essere seguite esclusivamente rotte perpendicolari alla costa e solo al fine di raggiungere/lasciare il proprio posto di ormeggio/ancoraggio" - era richiamata anche all'art. 3, comma 3 dell'ordinanza, il quale è applicabile all'intera rada di (Omissis), ossia la zona ricompresa tra il limite esterno dell'ambito portuale e la linea congiungente (Omissis).
11. Quanto alla doglianza circa la mancata risposta in motivazione alla richiesta di rinnovazione in appello operata con riferimento alla escussione del consulente tecnico della difesa va in primis ricordato che questa Corte di legittimità che ha in più occasioni evidenziato la natura eccezionale dell'istituto della rinnovazione dibattimentale di cui all'art. 603 c.p.p. ritenendo, conseguentemente, che ad esso possa farsi ricorso, su richiesta di parte o d'ufficio, solamente quando il giudice lo ritenga indispensabile ai fini del decidere, non potendolo fare allo stato degli atti (Sez. 2, n. 677 del 10/10/2014 dep. 2015, Di Vincenzo, Rv. 261556; Sez. 2, n. 41808 del 27/09/2013, Mongiardo, Rv. 25696801; Sez.2, n. 3458 del 1/12/2005, dep. 2006, Di Gloria, Rv. 23339101).
Come più volte chiarito da questa Corte di legittimità, la mancata rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale può essere censurata soltanto -il che nel caso che ci occupa non è avvenuto- qualora si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 2, n. 677 del 10/10/2014, dep. 2015, Di Vincenzo, Rv. 261556; Sez. 6, n. 1256 del 28/11/2013, dep. 2014, Rv. 258236).
E' vero che alle pagine 19 e 20 dell'atto di appello a firma dell'avvocato Romano Luca dell'11/10/2019 si legge di tale richiesta di rinnovazione istruttoria, peraltro formulata in maniera fortemente generica ed aspecifica (vi si legge che il CT della difesa Ingegner R.P. "potrà chiarire il tenore delle considerazioni di ordine tecnico espresse nella consulenza redatta ai sensi degli artt. 233 e 121 c.p.p. rimasta motivazionalmente inevasa, soprattutto con riferimento ai molteplici profili tecnici relativi al sinistro in questione, alle contestazioni di cui al capo a), alla protesta di innocenza dell'imputato Comandante A. rimasti non esaminati dalla ct redatta su incarico del PM dall'Ingegner R.A." e della "assoluta necessarietà dell'assunzione della prova in questione ai fini del thema decidendum, dal momento che essa sarà di sicura utilità al fine di assicurare il completo accertamento dei fatti dal punto di vista tecnico - senza dubbio di imprescindibile rilevanza al cospetto della così "tecnica" imputazione di cui al capo a - mediante la disamina di profili di natura squisitamente tecnica, di fatto rilevanti per la integrabilità della condotta colposa contestata nell'ambito dell'intero perimetro disegnato per l'oggetto della prova dalla disposizione generale di cui all'art. 187 c.p.p. ma non "toccati" dal C. T. del PM Ing. R.A.".
Ed è altrettanto vero che non ve n'e' menzione tra i motivi di appello riepilogati nel provvedimento impugnato e, conseguentemente, non vi è un rigetto esplicito della richiesta.
Tuttavia, va ricordato che per giurisprudenza conforme di questa Corte di legittimità sulla richiesta di rinnovazione non occorre che vi sia una risposta esplicita da parte del giudice d'appello ma le motivazioni del rigetto si possono ricavare anche dal contesto complessivo della motivazione del provvedimento impugnato. Il che è nel caso in esame.
Va dunque ribadito che il rigetto dell'istanza di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello si sottrae al sindacato di legittimità quando la struttura argomentativa della motivazione della decisione di secondo grado si fonda su elementi sufficienti per una compiuta valutazione in ordine alla responsabilità (così ex multis Sez. 6, n. 2972 del 4/12/2020, dep. 2021, G., Rv. 280589; conf. Sez. 6, n. 30774 del 16/7/2013, Trecca, Rv. 257741; Sez. 6, n. 5782 del 18/12/2006 dep. 2007, Gagliano, Rv. 236064).
E che il giudice d'appello ha l'obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento solo nel caso di suo accoglimento, laddove, ove ritenga di respingerla, può anche motivarne implicitamente il rigetto, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare o negare la responsabilità del reo (così Sez. 6, n. 11907 del 13/12/2013 dep. 2014, Coppola, Rv. 259893 in cui la Corte d'appello aveva disatteso una richiesta di acquisizione di tabulati telefonici, ed aveva condannato l'imputato valorizzando le sue dichiarazioni confessorie). Ciò in considerazione del principio di presunzione di completezza della istruttoria compiuta in primo grado, egli deve dare conto dell'uso che va a fare del suo potere discrezionale, conseguente alla convinzione maturata di non poter decidere allo stato degli atti. Non così, viceversa, nella ipotesi di rigetto, in quanto, in tal caso, la motivazione potrà anche essere implicita e desumibile dalla stessa struttura argomentativa della sentenza di appello, con la quale si evidenzia la sussistenza di elementi sufficienti alla affermazione, o negazione, di responsabilità (così Sez. 5, n. 8891 del 16/05/2000 Callegari, Rv. 217209; conf. Sez. 1, n. 19022 del 10/10/2002, dep. 2003, Di Gioia, Rv. 223985; Sez. 1, n. 38177 del 11/10/2002, Giovannelli Rv. 222469; Sez. 6, n. 22526 del 17/2/2003, Tateo, Rv. 226195; Sez. 5, n. 13767 del 18/03/2003, Prospero, Rv. 225633; Sez. 5, n. 15320 del 10/12/2009, dep. 2010, Pacini, Rv. 246859;; Sez. 6, n. 30774 del 16/07/2013, Trecca, Rv. 25774101; Sez. 3, n. 24294 del 07/04/2010, D.S.B., Rv. 24787201; Sez. 2, n. 41808 del 27/9/2013, Mongiardo, Rv. 256968).
12. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
PQM
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 2 marzo 2023.
Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2023