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Sentenza

Quando la parte civile può impugnare gli effetti penali della sentenza?
Quando la parte civile può impugnare gli effetti penali della sentenza?
Cass. pen., sez. IV, ud. 27 ottobre 2022 (dep. 16 novembre 2022), n. 43463

Presidente Serrao – Relatore – Cappello

Ritenuto in fatto

1. Il Giudice di Pace di Bari ha assolto D.S. dal reato di cui all'art. 590 c.p., (per avere costui investito, alla guida di un veicolo in senso contrario e vietato, il motociclo condotto da C.M. che, nell'occorso, aveva riportato lesioni guaribili in gg. 25) "perché non vi è prova che l'imputato lo abbia commesso".

2. La difesa del C. ha proposto ricorso, formulando due motivi, precisando, quanto alla ammissibilità del mezzo di impugnazione, che il procedimento era stato instaurato ai sensi del D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 21, avendo la persona offesa chiesto la citazione a giudizio dell'imputato.

Con il primo motivo, ha dedotto nullità della sentenza per travisamento probatorio (nella specie, le dichiarazioni del teste oculare P. , il quale si era espresso in maniera del tutto diversa da quella ritenuta dal giudice che ha affermato che il dichiarante nulla aveva saputo dire sui punti d'urto). Aggiunge il difensore che la versione della persona offesa e del teste assistito S. avevano smentito quella dell'imputato e che il giudice aveva omesso di motivare quanto al riferito degli altri testi, neppure assegnando rilievo al referto medico in atti.

Con un secondo motivo, deduce nullità della sentenza per inosservanza della legge penale, avendo il giudice affermato che la testimonianza della sola persona offesa può sostenere l'accusa, salvo poi a richiedere riscontri che, secondo il giudicante, sarebbero nel caso di specie difettati.

3. Il Procuratore generale, in persona del sostituto Luca Tampieri, ha depositato conclusioni scritte, chiedendo l'annullamento con rinvio.

4. La difesa di C. ha depositato conclusioni scritte, con le quali, condivise quelle del Procuratore generale, ha chiesto l'annullamento della sentenza con rinvio per nuovo esame.

Considerato in diritto

1. La sentenza deve essere annullata con rinvio al Giudice di pace di Bari - in diversa composizione - per nuovo esame.

2. Al fine di inquadrare il caso, occorre una premessa di natura processuale che inerisce alla verifica del potere impugnatorio della parte civile nei giudizi davanti al giudice di pace e, segnatamente, nei procedimenti introdotti ai sensi del D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 21, su ricorso immediato, cioè, della persona offesa. E, in via ancora preliminare, occorre verificare, dunque, la appellabilità della sentenza di proscioglimento da parte della persona offesa ai fini anche penali, essendo pacifica quella ai fini civili, stante la regola generale di cui all'art. 576 c.p.p., applicabile, in virtù del D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 2, anche nel processo davanti al giudice di pace (sul punto, Sez. U, n. 27614 del 29/3/2007, Lista; sez. 5, n. 4695 del 5/12/2008, dep. 2009, Simoni, Rv. 242605; n. 23726 del 31/3/2010, Serpi, Rv. 247509; n. 18252 del 7/1/2016, G., Rv. 267143). Tale verifica è indispensabile per una corretta qualificazione del ricorso proposto, tenuto conto della preclusione stabilita dall'art. 569 c.p.p., comma 3, per il caso in cui la sentenza in questa sede censurata risulti appellabile.

3. Nel caso di procedimento instaurato davanti al giudice di pace su citazione diretta della persona offesa (art. 21 cit.), il potere di impugnazione e, con esso, gli strumenti impugnatori attivabili vanno individuati muovendo dalla norma contenuta nel D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 38, in base alla quale testualmente "1. Il ricorrente che ha chiesto la citazione a giudizio dell'imputato a norma dell'art. 21 può proporre impugnazione, anche agli effetti penali, contro la sentenza di proscioglimento del giudice di pace negli stessi casi in cui è ammessa l'impugnazione da parte del pubblico ministero".

La norma, da un lato, equipara il potere di impugnazione della persona offesa che ha agito ai sensi dell'art. 21 a quello del pubblico ministero, disciplinato, per quel rito, dall'art. 36 ("1. Il pubblico ministero può proporre appello contro le sentenze di condanna del giudice di pace che applicano una pena diversa da quella pecuniaria. 2. Il pubblico ministero può proporre ricorso per cassazione contro le sentenze del giudice di pace"); dall'altro, amplia il potere di impugnazione riservato alla parte civile e disciplinato dalla regola generale di cui all'art. 576 c.p.p., sia pur nei soli casi di procedimento promosso ai sensi dell'art. 21 cit., poiché le conferisce la facoltà di impugnare anche i capi penali della sentenza.

4. Tale essendo il quadro normativo di riferimento, deve rilevarsi come la giurisprudenza di legittimità abbia da tempo chiarito, quanto al pubblico ministero, che questi non può proporre appello avverso la sentenza di assoluzione del giudice di pace (sez. 4, n. 47995 del 18/9/2009, Di Loreto, Rv. 245741), ma può ricorrere per cassazione contro tutte le sentenze inappellabili pronunciate dal giudice di pace e, in particolare, contro le sentenze di proscioglimento, per tutti i motivi di cui all'art. 606, c.p.p., ivi inclusi i vizi di contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione di cui ala lett. e) della citata norma (sez. 1, n. 48928 del 11/7/2019, EI Baji, Rv. 277462; sez. 5, n. 23043 del 23/3/2021, Ambu, Rv. 281262; n. 19331 del 30/4/2012, De Francesco, Rv. 259202).

Pertanto, stante il rinvio contenuto nell'art. 38 ai poteri di impugnazione del pubblico ministero, deve ritenersi che anche il potere di impugnazione del ricorrente ai sensi dell'art. 21 cit. debba essere individuato in base alla disciplina dettata per il pubblico ministero dall'art. 36, nei termini sopra precisati dalla giurisprudenza.

Ciò, del resto, è coerente con un'interpretazione del sistema delle norme richiamate che, muovendo dalla regola generale di cui all'art. 576 c.p.p., preclude alla parte civile la impugnazione dei capi penali della sentenza di primo grado, se non indirettamente, attraverso cioè un potere di sollecitazione del pubblico ministero. Ne consegue che, nei procedimenti dinnanzi al giudice di pace, alla stessa è certamente riconosciuta una legittimazione più ampia, potendo impugnare direttamente la sentenza di primo grado anche ai fini penali, ma nei soli casi in cui abbia instaurato il procedimento ai sensi dell'art. 21, citato. E, in tal senso, si è infatti affermato (in un caso di procedimento instaurato a iniziativa della parte pubblica) che le facoltà di impugnazione della parte civile, nel procedimento davanti al giudice di pace, sono quelle ordinarie di cui all'art. 576 c.p.p., non avendo subito limitazioni con l'entrata in vigore della L. n. 46 del 2006, essendosi al contrarlo estese le facoltà della parte civile proprio per effetto della soppressione dell'inciso "con il mezzo previsto per il p.m." nel citato art. 576, comma 1. Pertanto, venuto meno il vincolo di collegamento fra potestà di impugnazione del p.m. e quella della parte civile, a quest'ultima è consentito proporre impugnazione senza limiti (e, dunque, anche l'appello) ai soli effetti civili, tanto nel giudizio ordinario, che in quello davanti al giudice di pace (sez. 5, n. 50578 del 7/11/2013, Bucci, Rv. 257841, in un caso di ribaltamento in appello di sentenza di proscioglimento del giudice di pace).

5. La correttezza di tale ricostruzione, per la quale alla parte civile che agisce quale accusatore privato ai sensi dell'art. 21 richiamato spetta lo stesso potere di impugnazione riconosciuto alla parte pubblica allorquando intenda impugnare anche ai fini penali, è ricavabile da quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 298 del 2008. In quella sede, il giudice delle leggi, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale della L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 9, comma 2, ("Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento"), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., dalla Corte di cassazione nella parte in cui - modificando il D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 36, comma 1, - non consente al pubblico ministero di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento del giudice di pace, ha ritenuto che il principio di parità delle parti non comporta necessariamente l'identità tra i poteri processuali del pubblico ministero e quelli dell'imputato. Di qui la conferma dei principi già formulati nella precedente sentenza n. 26/2007, in base ai quali la limitazione censurata si innesta su un modulo processuale (il procedimento davanti al giudice di pace) improntato a finalità di snellezza, semplificazione e rapidità, tali da giustificare sensibili deviazioni rispetto al modello ordinario. Cosicché la scelta del legislatore di escludere la proponibilità di censure di merito, da parte del pubblico ministero, avverso le sentenze di proscioglimento del giudice di pace - a dispetto del mantenimento di un (circoscritto) potere di appello dell'imputato avverso le sentenze di condanna - non può ritenersi eccedente i limiti di compatibilità con il principio di parità delle parti, trovando essa una sufficiente ratio giustificatrice nella ritenuta opportunità di evitare un secondo giudizio di merito, ad iniziativa della parte pubblica, nei confronti di soggetti già prosciolti per determinati reati "di fascia bassa".

Nè, in contrario, ed è questo il passaggio motivazionale che più interessa in questa sede, può darsi rilievo, secondo il giudice delle leggi, alla circostanza che la compressione dei poteri di impugnazione del pubblico ministero finisce con il riverberarsi - stante il collegamento istituito dal D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 38, anche sui corrispondenti poteri del ricorrente che ha chiesto la citazione a giudizio dell'imputato, ai sensi dell'art. 21 del medesimo decreto legislativo: ciò, infatti, non rappresenta un indice di irrazionalità dell'intervento novellistico, essendo evidente che l'"accusatore privato" non può fruire, sul piano del principio di parità delle parti, di poteri processuali, agli effetti penali, più estesi di quelli riconosciuti all'accusatore pubblico.

6. Da quanto precede, dunque, può affermarsi il principio in base al quale, nell'ipotesi di procedimento davanti al giudice di pace instaurato a citazione della persona offesa (D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 21), essa riveste la posizione di un vero e proprio accusatore privato che, dunque, al pari di quello pubblico, potrà impugnare la sentenza di proscioglimento con i suoi stessi limiti, vale a dire mediante ricorso per cassazione per tutti i vizi di cui all'art. 606, c.p.p., allorquando intenda impugnare anche agli effetti penali; nel caso in cui, invece, la persona offesa costituita parte civile intenda impugnare il proscioglimento ai soli effetti civili, la stessa potrà proporre appello in base alla regola generale stabilità dall'art. 576 c.p.p..

7. Nella specie, il C. , costituito parte civile nel procedimento penale, ha proposto ricorso anche agli effetti penali, come si ricava del resto dal riferimento contenuto in ricorso al D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 38. Pertanto, l'impugnazione è stata correttamente proposta anche per vizi che ineriscono alla motivazione del provvedimento censurato.

Vizi che, nella specie, sono sussistenti.

Nel corso del giudizio sono stati escussi numerosi testimoni e sentito l'imputato; il giudice di merito, all'esito, non ha creduto alla versione della persona offesa C. , dando rilievo, di contro, al fatto che costui era stato denunciato per estorsione ai danni del "malcapitato" D. (per avere il primo fatto finta di cadere e di aver riportato danni), il quale si era trovato sì contromano su una via a senso unico, ma fermo, come riferito dal teste P. , il quale nulla aveva però saputo dire sui punti d'urto. In conclusione, quel giudice ha ritenuto che la deposizione della persona offesa possa sì costituire fonte di prova della responsabilità, ma ove la stessa risulti coerente con le altre prove assunte in giudizio.

Tale essendo il percorso motivazionale seguito dal giudicante, lo stesso deve ritenersi ai limiti dell'apparenza. Esso non consente, invero, a questa Corte di legittimità di valutarne la correttezza secondo i parametri legali di riferimento, non avendo il giudicante fornito indicazioni coerenti e utili sulla dinamica del sinistro e neppure riportato il contenuto delle prove valutate (sebbene risultino escussi, oltre alla p.o., ben tre testimoni), l'unica informazione rinvenibile in sentenza essendo la circostanza che la p.o. è stata denunciata dall'imputato per estorsione.

8. La sentenza, pertanto, deve essere annullata con rinvio al giudice del merito che, in diversa composizione, procederà a un rinnovato giudizio, tenendo conto di quanto sopra esposto e dei principi da tempo elaborati dal diritto vivente circa la valutazione dell'apporto dichiarativo della persona offesa che, come nella specie, si sia costituita parte civile nel processo penale: le regole dettate dall'art. 192 c.p.p., comma 3, non si applicano, infatti, alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/7/2012, Bell'Arte, Rv. 253214, in cui, in motivazione la Corte ha precisato come, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi; sez. 5, n. 12920 del 13/2/2020, Dotti, Rv. 279070; sez. 4, n. 410 del 9/11/2021, dep. 2022, Aramu, Rv. 282558).

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, al Giudice di pace di Bari in diversa composizione.
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Avv. Antonino Sugamele

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