Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 34016 Anno 2022 Presidente: PICCIALLI PATRIZIA Relatore: PAVICH GIUSEPPE Data Udienza: 13/09/2022
Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 34016 Anno 2022
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: PAVICH GIUSEPPE
Data Udienza: 13/09/2022SENTENZA
sul ricorso proposto da:
M.V. nato a T. il ------
avverso l'ordinanza del 23/09/2021 della CORTE APPELLO di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE PAVICH;
lette le conclusioni del PG che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso
letta la memoria dell'Avvocatura generale dello stato, in rappresentanza del Ministero
dell'Economia e delle Finanze, che ha concluso per l'inammissibilità o per il rigetto del
ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d'appello di Palermo, con ordinanza resa il 23 settembre 2021, ha
rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione presentata
nell'interesse di V.M., in relazione al periodo di restrizione cautelare
inframuraria (dal 4 aprile 2007 al 10 novembre 2011) cui lo stesso era stato
sottoposto con riferimento a reato di partecipazione ad associazione di tipo
mafioso; reato in relazione al quale, dopo la conferma dell'ordinanza applicativa
da parte del Tribunale del Riesame prima e della Corte di cassazione poi, il M.
era stato condannato sia in primo grado che in appello; a seguito di un primo
annullamento della sentenza di secondo grado da parte della Corte di cassazione,
la Corte d'appello palermitana aveva confermato la condanna in primo grado:
seguiva un nuovo ricorso per cassazione, in esito al quale, a seguito di un nuovo
annullamento con rinvio della sentenza impugnata, la Corte palermitana assolveva
il M., con decisione divenuta irrevocabile.
A fondamento della propria decisione, la Corte distrettuale ha evidenziato che,
sebbene il M. sia stato prosciolto all'esito del giudizio di cognizione, era
comprovata la sua vicinanza a soggetti risultati appartenenti al sodalizio mafioso
denominato Cosa Nostra. Secondo la Corte palermitana, sebbene l'intraneità
dell'imputato abbia formato oggetto di propalazioni accusatorie del collaboratore
di giustizia B., risultate inattendibili, il comportamento del M., come
emergente da alcune intercettazioni, doveva ritenersi quanto meno come
gravemente colposo, come tale ostativo al riconoscimento dell'indennizzo, in
relazione ai suoi contatti con personaggi di spicco del sodalizio e di sicura
appartenenza mafiosa e al contenuto delle conversazioni captate: contatti
deponenti quanto meno per la consapevolezza del M. dell'ambiente
malavitoso attorno al quale gravitavano i predetti personaggi. Tali elementi non
risultano neppure smentiti dalla sentenza assolutoria, ragione per cui la Corte
territoriale ha ravvisato la natura quanto meno gravemente colposa - e perciò
ostativa all'invocato indennizzo - della condotta del M..
2. Avverso la prefata ordinanza ricorre il M., tramite il suo difensore di
fiducia, affidando il proprio ricorso a un unico motivo di doglianza. In estrema
sintesi, il deducente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione
al fatto che la Corte di merito ha omesso di considerare che la colpa grave
attribuita all'odierno ricorrente non poteva basarsi sul fatto che egli sarebbe stato
soggetto vicino a P.F. , suo vecchio amico e collega, sebbene questi si
presentasse a lui come soggetto perseguitato per un reato che non aveva
commesso ed assolto dall'accusa di essere partecipe di Cosa Nostra (ottenendo
perciò il riconoscimento della riparazione per ingiusta detenzione); ne deriva una
motivazione apodittica e illogica, in quanto riferita a condotte materiali che, di per
sé, non possono ritenersi giustificative della sussistenza di dolo o di colpa grave,
non essendovi la prova della consapevolezza, da parte del M., che i suoi
interlocutori erano soggetti coinvolti in traffici illeciti, ma solo del fatto che il P.
faceva riferimento a fatti e persone riconducibili alla mafia in virtù della sua
esperienza processuale e detentiva. La Corte palermitana, inoltre, non si sofferma
sulla irrilevanza a fini indiziari attribuita nel procedimento di prevenzione alle
intercettazioni delle conversazioni del M. con il P..
3. Con requisitoria scritta, il Procuratore generale presso questa Corte ha
chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile. L'Avvocatura Generale dello
Stato, in rappresentanza del Ministero dell'Economia e delle Finanze, con memoria
depositata in atti, ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile o, in
subordine, rigettato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso é infondato.
In primo luogo, si rammenta che il giudizio per la riparazione dell'ingiusta
detenzione é del tutto autonomo rispetto al giudizio penale di cognizione,
impegnando piani di indagine diversi e che possono portare a conclusioni del tutto
differenti sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti, il che,
tuttavia, non consente al giudice della riparazione di ritenere provati fatti che tali
non sono stati considerati dal giudice della cognizione ovvero non provate
circostanze che quest'ultimo ha valutato dimostrate (Sez. 4, Sentenza n. 12228
del 10/01/2017, Quaresima, Rv. 270039); ma quest'ultima evenienza — come si
ricava dalla lettura dell'ordinanza impugnata - non si é verificata nel caso di specie,
giacché le condotte scrutinate dalla Corte di merito come rilevanti ai fini della
valutazione di dolo o colpa grave nel comportamento del M, non sono state
in alcun modo escluse, ma solo diversamente valutate, dal giudice della
cognizione.
Deve poi osservarsi che l'ordinanza impugnata evidenzia che la consistenza
indiziaria dell'ordinanza de libertate (confermata tra l'altro anche in sede di
legittimità) si fonda su circostanze di fatto non smentite dalla sentenza assolutoria
(come quelle relative al contenuto dei dialoghi del M. con il P. e il
B.), in relazione alle quali é la stessa Corte di merito a riconoscerne l'opacità
e la contiguità del comportamento dell'odierno ricorrente. Eloquente é, tra tutti,
l'episodio del 29 ottobre 2001 in cui il P., nel raccontare del suo arresto al
M.e al B., si compiaceva con i suoi interlocutori del fatto che gli
operanti non si fossero accorti delle carte compromettenti di cui il P. era in
possesso e di cui era riuscito a sbarazzarsi durante una trasferta penitenziaria.
Ciò rende evidente che la valenza dei gravi indizi alla base della predetta
ordinanza non può certo ritenersi vanificata, ai fini del giudizio che ne occupa, dal
sopravvenire dell'assoluzione dell'odierno ricorrente. Al contrario deve osservarsi
che la Corte palermitana, avuto riguardo all'accertata e mai smentita vicinanza del
M. al P. e al B. (comprovata dalle conversazioni intercettate) e alla
sua consapevolezza della vicinanza di costoro ad ambienti mafiosi, fa buon
governo dei principi a più riprese ribaditi dalla giurisprudenza di legittimità, in base
ai quali le frequentazioni ambigue - ossia quelle che si prestano oggettivamente
ad essere interpretate come indizi di complicità - quando non sono giustificate da
rapporti di parentela e sono poste in essere con la consapevolezza che trattasi di
soggetti coinvolti in traffici illeciti, possono dare luogo ad un comportamento
gravemente colposo idoneo ad escludere la riparazione (ex multis Sez. 4, Sentenza
n. 1235 del 26/11/2013, dep. 2014, Calò, Rv. 258610; in senso conforme vds.
Sez. 3, Sentenza n. 39199 del 01/07/2014, Pistorio, Rv. 260397).
In definitiva il ricorrente non ha tenuto conto del fatto che la natura
gravemente colposa del suo comportamento, lungi dal doversi apprezzare in base
all'esito assolutorio, deve formare oggetto di valutazione, nell'ambito del
procedimento de quo, sulla base degli elementi a disposizione del giudice della
cautela: é costante sul punto l'indirizzo giurisprudenziale (espresso anche in sede
apicale: vds. Sez. U, Sentenza n. 34559 del 26/06/2002, De Benedictis, Rv.
222263) secondo il quale, in tema di riparazione per ingiusta detenzione, il giudice
di merito, per stabilire se chi l'ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi
causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili,
al fine di stabilire, con valutazione ex ante - e secondo un iter logico-motivazionale
del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito - non se tale
condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia
ingenerato, ancorché in presenza di errore dell'autorità procedente, la falsa
apparenza della sua configurabilità come illecito penale (cfr. inoltre, ex multis,
Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, Maltese, Rv. 259082).
2. Va perciò rigettato il ricorso, e il ricorrente va condannato alle spese
processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente,
liquidate come da dispositivo.
Il Consiglier estensore
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla Amministrazione resistente in
questo giudizio di legittimità, che liquida in euro mille.
Così deciso in Roma, il 13 settembre 2022
La Presidente