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Sentenza

Un uomo viene sorpreso mentre gettava un pesante sacco all'interno del cassonetto, contenente i resti di un capriolo. Imputato di furto per essersi impossessato di un animale selvatico senza autorizzazione venatoria.
Un uomo viene sorpreso mentre gettava un pesante sacco all'interno del cassonetto, contenente i resti di un capriolo. Imputato di furto per essersi impossessato di un animale selvatico senza autorizzazione venatoria.
Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 04-03-2020) 30-04-2020, n. 13506

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente -

Dott. ESPOSITO Aldo - rel. Consigliere -

Dott. BELLINI Ugo - Consigliere -

Dott. DAWAN Daniela - Consigliere -

Dott. PICARDI Francesca - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

P.L., n. a (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 1759/2017 della CORTE DI APPELLO DI ANCONA dell'11/03/2019;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. Esposito Aldo;

udite le conclusioni del Procuratore generale, in persona della Dott.ssa COCOMELLO ASSUNTA, che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Ancona ha confermato la sentenza del Tribunale di Pesaro del 7 giugno 2017, con cui P.L. era stato condannato alla pena di mesi quattro di reclusione ed Euro centoventi di multa in relazione al reato di cui all'art. 624 c.p. e art. 625 c.p., n. 7 (perchè era sorpreso mentre gettava un pesante sacco all'interno del cassonetto, contenente i resti di un capriolo, essendosi, pertanto, impossessato di un animale selvatico senza autorizzazione venatoria - in (OMISSIS)Siligata(OMISSIS)).

1.1. In ordine alla ricostruzione della vicenda, il Tribunale rilevava che gli avanzi di macellazione dell'animale erano stati depositati nella spazzatura, proprio sotto gli occhi del capitano S., ad opera dell'imputato; inoltre, nel frigo del teste B., erano trovate le due mezzene dell'animale che il P. gli aveva portato col proposito di riprendersele. Nel corso dell'interrogatorio, il P. riferiva di aver accidentalmente investito un capriolo, di averlo trovato agonizzante e di averlo finito per alleviarne le sofferenze, per poi portarlo con sè, macellarlo e riporlo in frigo da un conoscente.

Gli esiti dell'accertamento tecnico confortavano la versione dell'imputato, in quanto si dava atto della presenza di frattura all femore destro e di ematomi vari, circostanze compatibili con la descritta dinamica di un investimento.

L'imputato non chiariva le modalità di uccisione dell'animale nè il consulente era in grado di stabilire se il taglio alla gola fosse stato inferto prima o dopo la morte dell'animale.

Secondo la Corte territoriale, trattandosi di specie appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato, l'appropriazione ad opera di soggetto privo di licenza di caccia integrava gli estremi del reato di furto.

Ricorrevano gli estremi del reato di furto aggravato dalla natura pubblica del bene, perchè l'imputato, dopo un investimento verosimilmente non volontario, anzichè porre l'animale a disposizione delle autorità statuali competenti, se ne appropriava con scopi alimentari propri o di vendita a terzi, cioè col fine di trarne profitto.

1.2. La Corte territoriale ha rilevato che il Tribunale aveva compiuto una descrizione dettagliata, precisa e puntuale della vicenda, desumendo correttamente la responsabilità del P. in ordine al reato contestato; inoltre, ha ritenuto tuttora configurabile il reato di furto aggravato di fauna ai danni del patrimonio indisponibile dello Stato.

Ricorreva il dolo specifico del reato in esame, potendo esso consistere nel soddisfacimento di un bisogno psichico e rispondere quindi ad una finalità di dispetto, ritorsione o vendetta. Il capriolo, d'altronde, risultava scuoiato e privo di corna, per cui se ne era appropriato a fine di lucro (alimento proprio o cessione a terzi).

2. Il P., a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo sei motivi di impugnazione.

2.1. Violazione di legge.

Si deduce che, stante l'impossibilità di stabilire se l'animale fosse ancora in vita al momento del taglio alla gola, tuttalpiù poteva riscontrarsi un'ipotesi di omicidio colposo di animale, fatto penalmente non rilevante. Essendo morto il capriolo per causa accidentale, i suoi resti non potevano essere considerati fauna selvatica e la carcassa non apparteneva al patrimonio indisponibile dello Stato.

2.2. Vizio di motivazione in ordine alle questioni prospettate col primo motivo di ricorso in tema di inesistenza di attività di caccia del P. e della non configurabilità del furto venatorio.

Si osserva che la Corte territoriale non aveva risposto alle doglianze già sollevate con l'atto di appello, essendosi limitata a confermare la validità delle argomentazioni del giudice di primo grado. La giurisprudenza richiamata dall'organo giudicante in ordine alle diverse ipotesi di bracconaggio e di caccia di frodo, non riguardava con la fattispecie in esame.

2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 625 c.p., n. 7.

Si rileva che le modalità di svolgimento del fatto consentivano di escludere la sussistenza dell'aggravante dell'esposizione a pubblica fede, per cui, trattandosi di vicenda al massimo integrante il reato di furto semplice, doveva rilevarsi l'improcedibilità dell'azione penale per difetto di querela.

2.4. Violazione di legge con riferimento all'art. 625 c.p., n. 7.

Si deduce che l'aggravante era stata riconosciuta per la natura pubblica del bene, ipotesi non rientrante nella disposizione in esame. In ogni caso, una carcassa di animale non poteva avere natura pubblica.

2.5. Violazione dell'art. 727 bis c.p..

Si osserva che il fatto doveva essere riqualificato in quello previsto dall'art. 727 bis c.p., ipotesi contravvenzionale punita a titolo di colpa.

2.6. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'art. 62 c.p., n. 4.

Si deduce che una carcassa di animale ha un valore economico insignificante, essendo destinata ad essere smaltita come rifiuto, per cui poteva essere riconosciuta l'attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

2. Il primo motivo di ricorso, con cui si deduce che nella fattispecie si versava in ipotesi di omicidio colposo di animale, fatto penalmente irrilevante, è manifestamente infondato.

Dalla lettura della sentenza di primo grado, emerge che, in sede di interrogatorio, il P. aveva ammesso di aver rinvenuto il capriolo in stato di agonia e di averlo ucciso per alleviarne le sofferenze. Tali dichiarazioni non erano successivamente smentite dal P., per cui non vi sono quindi dubbi sull'esistenza in vita dell'animale nel momento in cui era stato trovato.

3. Il secondo e il quinto motivo di ricorso, entrambi attinenti al tema dell'esatta qualificazione del reato configurabile nella fattispecie, sono infondati.

La Legge sulla caccia 11 febbraio 1992, n. 157 non esclude in via assoluta l'applicabilità del cosiddetto "furto venatorio"; al contrario, prevede tale esclusione solamente in relazione ai casi specificamente previsti dagli artt. 30 e 31, che non esauriscono tutti quelli di apprensione della fauna da ritenersi vietati in base ad altri precetti contenuti nella legge stessa ed infatti l'art. 30, n. 3, proibisce l'applicazione del "furto venatorio": "nei casi di cui al comma 1 (dell'art. 30) non si applicano gli artt. 624, 625 e 626 c.p." ed analoga previsione è contenuta nell'art. 31 per le sanzioni amministrative.

Ne consegue che il reato di furto è stato espressamente escluso soltanto nei casi circoscritti dalla prima parte dell'art. 30 e da tutto l'art. 31 in questione e, cioè, quelli riguardanti il cacciatore munito di licenza che violi la stessa e cacci di frodo, mentre il bracconiere senza licenza non rientra in questa prima parte dell'art. 30, in tutto l'art. 31 e nessun'altra previsione specifica, per cui il furto venatorio appare ancora applicabile a suo carico, essendo la fauna patrimonio indisponibile dello Stato (art. 1 L. cit.) e restano dunque intatti i vecchi presupposti giuridici del "furto venatorio" (Sez. 4, n. 8151 del 13/12/2018, dep. 2019, Berardi, non massimata; Sez. 5, n. 25728 del 30/04/2012, Cassone, non massimata; Sez. 5, n. 48680 del 06/06/2014, Fusco, Rv. 261436; Sez. 4, n. 34352 del 24/05/2004, Peano, Rv. 229083).

Il reato di furto aggravato di fauna ai danni del patrimonio indisponibile dello Stato, pertanto, è ancora oggi applicabile nel regime della L. n. 157 del 1992 con riferimento al caso in cui l'apprensione o il semplice abbattimento della fauna sia opera di persona non munita di licenza di caccia. Tale interpretazione, oltre che sui dati testuali sopra riferiti, risulta anche alla luce del complessivo impianto normativo della L. n. 157 del 1992, il cui art. 1 testualmente stabilisce l'appartenenza della fauna selvatica al patrimonio indisponibile dello Stato e con le norme successive regola le modalità attraverso le quali (concessione da parte dello Stato, art. 12) è consentito l'esercizio dell'attività venatoria, specificando luoghi, tempi" modi e oggetto della stessa e prevedendo, correlativamente, agli artt. 30 e 31 sanzioni penali e amministrative per i comportamenti difformi ivi specificamente ed analiticamente elencati, per i quali è espressamente esclusa la possibilità di applicare le norme di cui agli artt. 624, 625 e 626 c.p..

4. Il terzo e il quarto motivo di ricorso, con cui si contesta il riconoscimento della circostanza aggravante di cui all'art. 625 c.p., n. 7, è infondato.

Occorre premettere che, contrariamente a quanto indicato dal ricorrente, alla luce di quanto sopra esposto al par. 2, non si versava in ipotesi di furto di "carcassa" di animale, bensì di un capriolo vivo e libero.

In linea generale, va osservato che la natura, privata o pubblica, del luogo di esposizione del bene è ininfluente ai fini della configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 625 c.p., n. 7, rilevando invece la facilità di raggiungere la res oggetto di sottrazione (Sez. 5, n. 14022 del 08/01/2014, Fusari, Rv. 259870; Sez. 4, n. 21285 del 08/05/2009, Bortolameolli, Rv. 243513). Per quanto attiene al caso specifico in trattazione, questa Corte, in relazione alla disciplina previgente, di cui alla L. 27 dicembre 1977, n. 968, ha affermato che la condizione giuridica della fauna selvatica è tale per cui è configurabile il delitto di furto aggravato ex art. 625 c.p., n. 7, nell'ipotesi di impossessamento della selvaggina fuori dei limiti di tempo consentiti o in spregio ai divieti di caccia riguardanti le specie protette (Sez. 2, n. 5964 del 06/04/1984, Soddu, Rv. 164964).

5. Il sesto motivo di ricorso, con cui il ricorrente si duole dell'ingiustificato diniego della circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 4, è manifestamente infondato.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di reati contro il patrimonio, ai fini della concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, l'entità del danno dev'essere valutata anzitutto con riferimento al criterio obiettivo del danno in sè, mentre quello subiettivo e, cioè, il riferimento alle condizioni economiche del soggetto passivo, ha valore sussidiario e viene in considerazione soltanto quando il primo, da solo, non appare decisivo (Sez. 2, n. 2993 del 01/10/2015, dep. 2016, Sciuto, Rv. 265820).

In linea con tale principio, la Corte di merito ha correttamente escluso la configurabilità dell'attenuante in ragione della quantità e del valore della carne.

6. Per le ragioni che precedono, il ricorso va rigettato.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali (art. 616 c.p.p.).
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 4 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2020
Avv. Antonino Sugamele

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