Cassazione penale, sezione I, sentenza 10 dicembre 2020, n. 35216
Cassazione penale, sezione I, sentenza 10 dicembre 2020, n. 35216
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIANI Vincenzo - Presidente -
Dott. TALERICO Palma - Consigliere -
Dott. CENTOFANTI Francesco - Consigliere -
Dott. CAPPUCCIO Daniele - Consigliere -
Dott. RENOLDI Carlo - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Ministero della Giustizia:
nel procedimento a carico di:
A.E., nato a (OMISSIS);
avverso l'ordinanza del Tribunale di sorveglianza dell'Aquila in data 18/6/2019;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Carlo Renoldi;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Fodaroni Maria Giuseppina, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
1. A.E., sottoposto nella Casa circondariale dell'Aquila al regime differenziato previsto dall'art. 41-bis Ord. pen., aveva proposto reclamo davanti al Magistrato di sorveglianza dell'Aquila, ai sensi dell'art. 35-bis Ord. pen., avverso la sanzione disciplinare dell'ammonizione inflittagli dal Consiglio di disciplina della Casa circondariale dell'Aquila perchè aveva salutato un altro detenuto, anch'egli sottoposto al regime di cui all'art. 41-bis Ord. pen., appartenente a diverso gruppo di socialità.
1.1. Con ordinanza in data 6/3/2019, il Magistrato di sorveglianza dell'Aquila accolse il reclamo proposto da A., sul presupposto che il saluto rivolto ad altro detenuto non integrasse alcuna forma di comunicazione, implicando tale nozione uno scambio di dati, stati d'animo, sensazioni, non ravvisabile nel semplice saluto.
1.2. Avverso il provvedimento di rigetto propose reclamo il Ministero della giustizia, ai sensi dell'art. 35-bis Ord. pen., chiedendo l'annullamento della ordinanza impugnata, sul presupposto che il divieto di comunicazione imposto ai detenuti in regime ex art. 41-bis Ord. pen. abbia la finalità di impedire i collegamenti del detenuto che vi è sottoposto con il sodalizio criminoso di appartenenza e che anche il semplice saluto, nelle sue varie forme di estrinsecazione, possa celare un messaggio occulto, in quanto l'atteggiamento di riverenza o meno con il quale si esprime potrebbe significare anche una forma di sottomissione verso il soggetto al quale è rivolto, a seconda di chi per primo rivolge il saluto o a seconda anche del tipo di saluto che viene rivolto, trattandosi di forme particolari che possono assumere un preciso significato nella subcultura carceraria.
1.3. Con ordinanza in data 18/6/2019, il Tribunale di sorveglianza dell'Aquila rigettò il reclamo, ritenendo che nella semplice dichiarazione di saluto, anche qualora accompagnata dalla menzione di un nome proprio di persona, ma non inquadrata nel contesto di una conversazione, non potesse ravvisarsi una comunicazione in senso proprio, richiedendo il relativo concetto la trasmissione di un'informazione da un soggetto ad un altro, nella specie non ravvisabile.
2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il Ministro della giustizia, per mezzo dell'Avvocatura distrettuale dello Stato, deducendo, con un unico articolato motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 35-bis e 41-bis Ord. pen. In particolare, il ricorso denuncia, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), che il divieto di comunicazione fra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità ricomprenderebbe anche il saluto, atteso che, in questo modo, si potrebbe prevenire il pericolo di messaggi occulti e, con essi, di contatti fra soggetti legati allo stesso gruppo criminale; contatti attraverso i quali ciascuno di essi potrebbe impartire direttive, trasferibili a coloro che si trovano in libertà, assumendo rilevanza, nella subcultura mafiosa di appartenenza, anche l'iniziativa del salutare nonchè il tipo di saluto rivolto.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
2. Preliminarmente, giova ricordare che l'art. 41-bis, comma 2, Ord. pen. stabilisce che quando ricorrano "gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica", il Ministro della giustizia possa disporre, nei confronti di detenuti o internati per gravi reati in materia di terrorismo o di criminalità organizzata, la sospensione, in tutto o in parte, delle regole del trattamento che possano porsi in contrasto con le esigenze di ordine e sicurezza, al fine di impedire i collegamenti con un'associazione criminale, terroristica o eversiva, onde evitare che il carcere divenga il luogo in cui continuino a prendersi le decisioni criminali da eseguirsi poi all'esterno. A tal fine, per quanto qui di interesse, il comma 2-quater, lett. f) della predetta disposizione stabilisce che siano "adottate tutte le necessarie misure di sicurezza, anche attraverso accorgimenti di natura logistica sui locali di detenzione, volte a garantire che sia assicurata la assoluta impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità".
La ratio di tale previsione è chiaramente quella di impedire la possibilità di una circolazione di informazioni che consentirebbe la prosecuzione dell'attività di gestione delle attività criminali dall'interno del carcere. Circolazione che sarebbe resa possibile da interazioni non soltanto di tipo linguistico, ma anche di natura non verbale.
Ne consegue che non ogni tipo di interazione può essere ritenuta di natura comunicativa e che la nozione di comunicazione deve essere estesa a ogni manifestazione esteriore in grado di veicolare un contenuto informativo idoneo a vulnerare le menzionate esigenze di controllo. Ciò, conformemente, alla consolidata giurisprudenza costituzionale che impone di limitare i diritti dei detenuti sottoposti al regime dell'art. 41-bis Ord. pen. nei limiti della stretta necessità.
La questione, all'evidenza, si pone in termini di particolare complessità nei casi di comunicazione occulta, ovvero nelle ipotesi in cui una interazione di carattere apparentemente neutro nasconda un significato diverso da quello apparente.
Il comportamento non verbale, invero, può essere informativo, quando i gesti assumono un identico significato tra gli interlocutori, comunicativo, comprendenti i gesti inviati da un emittente a un ricevente per trasmettere un messaggio chiaro e univoco, e interattivo, rappresentato da tutti quei gesti che influenzano il comportamento dei partecipanti alla comunicazione e degli osservatori presenti nel contesto in cui si verificano.
3. Nel caso di specie, si è in presenza di una dichiarazione di saluto rivolta dal detenuto ad altri ristretti, appartenenti ad altro gruppo di socialità e non inserita in un contesto di conversazione.
Dunque, deve escludersi che si fosse in presenza di una "comunicazione" nel senso indicato, non essendovi stata alcuna trasmissione di informazioni da un individuo a un altro, ovvero un'interazione tra soggetti diversi nell'ambito della quale essi costruivano insieme una realtà e una verità condivisa.
Pertanto, correttamente il Tribunale di sorveglianza ha rilevato come tale dichiarazione doveva considerarsi di natura neutra, non potendosi in essa cogliere alcuna particolare informazione e non avendo l'atto, in definitiva, un vero e proprio intento comunicativo.
3.1. A fronte di una siffatta valutazione, che reca in sè i tratti di un apprezzamento di natura eminentemente fattuale, il Ministero ricorrente si è limitato ad affermare che anche quell'atto doveva considerarsi come una forma di comunicazione, senza tuttavia individuare un qualsiasi ulteriore elemento tale da consentire di affermare che, nella specie, il saluto costituisse una forma di comunicazione occulta o, comunque, fraudolenta in ragione di un qualche significato criptico indirizzato ad altri detenuti.
4. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, senza che il Ministero della giustizia ricorrente debba essere condannato al pagamento delle spese processuali (così Sez. U, n. 3775 del 21/12/2017, dep. 2018, Tuttolomondo, Rv. 271650).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2020