Esecuzione penale. Cambiano le condizioni per l’affidamento in prova al servizio sociale in caso di reati contro la P.A.
Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 09/06/2020) 25-06-2020, n. 19301
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IASILLO Adriano - Presidente -
Dott. ROCCHI Giacomo - Consigliere -
Dott. CENTOFANTI Francesco - Consigliere -
Dott. DANIELE Cappuccio - Consigliere -
Dott. CENTONZE Alessandro - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) B.A., nato a (OMISSIS);
Avverso l'ordinanza emessa il 12/11/2019 dal Tribunale di sorveglianza di Lecce;
Sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Alessandro Centonze;
Lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale Domenico Seccia, che ha chiesto l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata.
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza emessa il 12/11/2019 il Tribunale di sorveglianza di Lecce dichiarava inammissibile l'istanza di affidamento in prova al servizio sociale presentata da B.A., per la pena che doveva scontare, quantificata in due anni e otto mesi di reclusione.
Il provvedimento di rigetto veniva giustificato dal Tribunale di sorveglianza di Lecce sull'assunto che il titolo di reato in corso di espiazione riguardava il delitto di peculato, che, a seguito della L. 9 gennaio 2019, n. 3, recante "Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonchè in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici", risultava compreso nell'elenco di cui all'art. 4 bis, comma 1, Ord. pen. Ne conseguiva che, in assenza di condotte di collaborazione con la giustizia, rilevanti ex art. 58 ter Ord. pen., il tiql3lo di reato in corso di espiazione non consentiva la concessione di misure alternative alla detenzione.
In tale contesto, il Tribunale di sorveglianza di Lecce, nel richiamare le tre ipotesi di peculato per le quali B. era stato condannato, nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 5 del provvedimento impugnato, evidenziava che anche "volendo ritenere inutile la sua collaborazione rispetto ai tre capi di imputazione, perchè i fatti risultano compiutamente verificati grazie - non alle sue dichiarazioni, ma - alle complessive emergenze istruttorie (...), è evidente che egli ben potrebbe fornire indicazioni su altri episodi, altre sottrazioni, altre caratteristiche di un 'sistemà collaudato di appropriazioni di beni dai bagagli dei viaggiatori, quale chiaramente evincibile dalla sentenza (...)".
2. Avverso tale ordinanza B.A., a mezzo dell'avv. Ladislao Massari, ricorreva per cassazione, deducendo la violazione di legge del provvedimento impugnato, in riferimento agli artt. 4 bis e 58 ter Ord. pen., conseguente al fatto che il Tribunale di sorveglianza di Lecce riteneva che le risultanze processuali non consentivano di ritenere inesigibile la condotta di collaborazione con la giustizia del condannato attraverso un percorso argomentativo incongruo e contrastante con le emergenze probatorie.
In via subordinata al mancato accoglimento della doglianza principale, si deduceva l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 bis, comma 1, Ord. pen., in riferimento agli artt. 25 e 27 Cost., conseguente al fatto che la preclusione assoluta stabilita da tale disposizione si poneva in contrasto con il principio di irretroattività della norma penale, atteso che comportava l'applicazione di un trattamento sanzionatorio sfavorevole al reo, tenuto conto del tempus commissi delicti, che risultava antecedente all'entrata in vigore della L. n. 3 del 2019, con cui era stato novellato l'art. 4 bis Ord. pen..
A conferma di tale assunto, la difesa del ricorrente richiamava l'ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale, pronunciata dalla Corte di cassazione, Prima Sezione penale il 18/06/2019, in riferimento agli artt. 4 bis e 58 ter Ord. pen., nella quale, tra l'altro, si affermava che l'inserimento "del delitto di peculato nella disposizione di cui all'art. 4 bis, comma 1 impone, in particolare, di interrogarsi sulla idoneità di tale fattispecie di reato (...) a sostenere la ragionevole formulazione (art. 3 Cost.) di quella sottostante presunzione legale di accentuata pericolosità sociale del suo autore che legittima l'iscrizione nel particolare catalogo, con tutto ciò che ne deriva in punto di limitazione della discrezionalità del momento giurisdizionale in sede di individualizzazione del percorso di espiazione della pena (art. 27 Cost.)".
Motivi della decisione
1. Il ricorso proposto da B.A. è fondato nei termini di seguito indicati.
2. Occorre premettere che l'eccezione di illegittimità costituzionale proposta dalla difesa del ricorrente in relazione all'art. 4 bis Ord. pen., così come novellato dalla L. 9 gennaio 2019, n. 3, recante "Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonchè in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici", appare assorbente rispetto alla residua doglianza, proposta in via principale, con cui si censurava la ritenuta esigibilità della condotta di collaborazione ex art. 58 ter Ord. pen..
Tanto premesso, deve rilevarsi che l'eccezione di incostituzionalità sollevata dalla difesa del ricorrente si inserisce in un più ampio contesto sistematico, che è stato rivisitato dalla sentenza della Corte di costituzionale 12 febbraio 2020, n. 32, che dichiarava l'illegittimità costituzionale della L. 9 gennaio 2019, n. 3, art. 1, comma 6, lett. b).
In tale giudizio di costituzionalità, la Corte costituzionale, innanzitutto, dichiarava "l'illegittimità costituzionale della L. 9 gennaio 2019, n. 3, art. 1, comma 6, lett. b), (Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonchè in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici), in quanto interpretato nel senso che le modificazioni introdotte alla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 4 bis, comma 1, (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) si applichino anche ai condannati che abbiano commesso il fatto anteriormente all'entrata in vigore della L. n. 3 del 2019, in riferimento alla disciplina delle misure alternative alla detenzione previste dal Titolo I, Capo VI, della L. n. 354 del 1975, della liberazione condizionale prevista dagli artt. 176 e 177 c.p., e del divieto di sospensione dell'ordine di esecuzione previsto dall'art. 656 c.p.p., comma 9, lett. a)".
Veniva, inoltre, dichiarata "l'illegittimità costituzionale della L. n. 3 del 2019, art. 1, comma 6, lett. b), nella parte in cui non prevede che il beneficio del permesso premio possa essere concesso ai condannati che, prima dell'entrata in vigore della medesima legge, abbiano già raggiunto, in concreto, un grado di rieducazione adeguato alla concessione del beneficio stesso".
3. La declaratoria di incostituzionalità richiamata nel paragrafo precedente impone una rivalutazione della posizione di B.A., che dovrà essere effettuata dal Tribunale di sorveglianza di Lecce alla luce delle indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte costituzionale.
Il Tribunale di sorveglianza di Lecce, innanzitutto, dovrà tenere conto del fatto che "l'art. 656 c.p.p., comma 9, - nel vietare la sospensione dell'ordine di esecuzione della pena in una serie di ipotesi, tra cui quella, che qui viene in considerazione, relativa alla condanna per un reato di cui all'art. 4 bis, ordin. penit. - produce l'effetto di determinare l'inizio dell'esecuzione della pena stessa in regime detentivo, in attesa della decisione da parte del tribunale di sorveglianza sull'eventuale istanza di ammissione a una misura alternativa; e dunque comporta che una parte almeno della pena sia effettivamente scontata in carcere, anzichè con le modalità extramurarie che erano consentite - per l'intera durata della pena inflitta - sulla base della legge vigente al momento della commissione del fatto" (Corte Cost., sent. n. 32 del 2019).
Si dovrà, al contempo, tenere conto del fatto che la ratio dell'art. 656 c.p.p., comma 9, e il suo collegamento con le modalità dell'esecuzione della pena comportano la necessità di "riconoscere alla disposizione in questione un effetto di trasformazione della pena inflitta, e della sua concreta incidenza sulla libertà personale, rispetto al quadro normativo vigente al momento del fatto; con conseguente sua inapplicabilità, ai sensi dell'art. 25 Cost., comma 2, alle condanne per reati commessi anteriormente all'entrata in vigore della novella legislativa, che ne ha indirettamente modificato l'ambito applicativo, tramite l'inserimento di numerosi reati contro la pubblica amministrazione nell'elenco di cui all'art. 4 bis ordin. penit." (Corte Cost., sent. n. 32 del 2019, cit.).
L'illegittimità della L. n. 3 del 2019, art. 1, comma 6, lett. b), pertanto, discende dal fatto che, a fronte della sua incidenza sulle modalità di esecuzione della pena, tale disposizione "nulla prevede in relazione alla sua applicazione nel tempo, nè dispone la sua applicazione alle condanne per reati commessi anteriormente all'entrata in vigore della legge (...)" (Corte Cost., sent. n. 32 del 2019, cit.).
4. In questa cornice, la Corte costituzionale non ha ritenuto che "l'art. 25 Cost., comma 2, vieti l'applicazione retroattiva di modifiche normative che incidano in senso deteriore per il condannato quanto alla disciplina di meri benefici penitenziari, come (...) i permessi premio e il lavoro all'esterno" (Corte Cost., sent. n. 32 del 2019).
Tuttavia, tali conclusioni, non comportano "che al legislatore sia consentito disconoscere il percorso rieducativo effettivamente compiuto dal condannato che abbia già raggiunto, in concreto, un grado di rieducazione adeguato alla concessione del beneficio". Tutto questo, infatti, contrasterebbe "con il principio di eguaglianza e di finalismo rieducativo della pena (art. 3 Cost., e art. 27 Cost., comma 3), secondo i principi sviluppati dalla giurisprudenza di questa Corte sin dagli anni Novanta del secolo scorso" (Corte Cost., sent. n. 32 del 2019, cit.).
Nè potrebbe essere diversamente, atteso che negare a chi abbia già maturato le condizioni per ottenere un beneficio penitenziario, in conseguenza della sopravvenienza di un provvedimento normativo, comporterebbe il disconoscimento della funzione pedagogico-propulsiva delle stesse misure alternative alla detenzione, così come prefigurate dall'art. 27 Cost., comma 3, su cui la stessa Corte costituzionale è già intervenuta con la sentenza 22 ottobre 2019, n. 253, dichiarando la parziale incostituzionalità dell'art. 4 bis Ord. pen. in riferimento alle richieste di permesso premio, ritenuti strumenti idonei "a consentirne un suo iniziale reinserimento nella società, in vista dell'eventuale concessione di misure alternative alla detenzione, in assenza di gravi comportamenti che dimostrino la non meritevolezza del beneficio nel caso concreto" (Corte Cost., sent. n. 32 del 2019, cit.).
5. Le considerazioni esposte impongono l'annullamento dell'ordinanza impugnata, con il conseguente rinvio al Tribunale di sorveglianza di Lecce, che dovrà essere eseguito nel rispetto dei principi che si sono richiamati.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Lecce per nuovo giudizio.
Così deciso in Roma, il 9 giugno 2020.
Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2020
08-08-2020 13:26
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