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Sentenza

Rapina aggravata in danno di un supermercato.
Rapina aggravata in danno di un supermercato.
Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 19-04-2019) 21-05-2019, n. 22187


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIOTALLEVI Giovanni - Presidente -

Dott. RAGO Geppino - Consigliere -

Dott. DE SANTIS Anna Maria - rel. Consigliere -

Dott. SARACO Antonio - Consigliere -

Dott. MONACO Marco Maria - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

T.A., n. a (OMISSIS);

avverso la sentenza resa dal Tribunale di Fermo in data 27/9/2018;

Visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;

Udita nell'udienza camerale del 19 aprile 2019 la relazione del Consigliere, Dott.ssa De Santis Anna Maria;

Letta la requisitoria del Sost. Proc. Gen., Dott. Fimiani Pasquale, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
Svolgimento del processo

1. Con l'impugnata sentenza il Tribunale di Fermo applicava a T.A., su richiesta del medesimo e con il consenso del P.m., la pena di anni tre di reclusione ed Euro mille di multa in relazione ai delitti di rapina aggravata in danno del supermercato (OMISSIS) ubicato in (OMISSIS) e di lesioni aggravate ai danni del cassiere L.M., previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti ascritte, ivi compresa la recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale ritualmente contestata.

2. Ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell'imputato, Avv. Giuliano Giordani, il quale ha dedotto con unico motivo la violazione dell'art. 444 c.p.p., comma 1 bis e la mancanza di motivazione. Osserva la difesa che il primo giudice ha ammesso l'imputato al patteggiamento c.d. allargato nonostante l'entità della pena concordata, superiore ad anni due, e in presenza dell'aggravante della recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale in patente contrasto con l'esclusione sancita all'art. 444 c.p.p., comma 1 bis. Deve, inoltre, ritenersi, in conformità alle fonti convenzionali e, in particolare, alle decisioni della CEDU, che l'accesso al rito premiale in casi non consentiti configuri l'applicazione di una pena illegale che la Corte di Legittimità è autorizzata a rilevare d'ufficio anche in caso di ricorso inammissibile.
Motivi della decisione

3. Osserva la Corte che nella specie, pacificamente, l'accesso al rito è avvenuto in violazione dell'art. 444 c.p.p., comma 1-bis, in forza del quale è esclusa la possibilità di applicazione di una pena concordata - diminuita fino ad un terzo - nei confronti dei soggetti dichiarati recidivi ai sensi dell'art. 99 c.p., comma 4, allorchè la sanzione proposta superi anni due di reclusione, anche congiunti a pena pecuniaria.

La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, chiarito, sulla scia dei principi affermati da Sez. U. n. 35738/2010, Calibè, che ai fini della preclusione al patteggiamento a pena detentiva superiore a due anni, è sufficiente che la recidiva, contestata ai sensi dell'art. 99 c.p., comma 4, sia stata riconosciuta dal giudice, anche se in concreto non applicata per effetto del giudizio di equivalenza con circostanze attenuanti (Sez. 6, n. 23052 del 04/04/2017, P.G. in proc. Nahi e altro, Rv. 270489).

4. Al fine della delibazione in ordine all'ammissibilità del ricorso, alla luce del novero dei vizi deducibili ex art. 448 c.p.p., comma 2 bis, è preliminare la delimitazione del concetto di pena illegale. Deve rilevarsi al riguardo che la giurisprudenza di legittimità (Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264207) ricomprende nella categoria patologica in esame la pena non corrispondente per specie ovvero per quantità (sia in difetto che in eccesso) a quella astrattamente prevista per la fattispecie incriminatrice e che si colloca, quindi, al di fuori del sistema sanzionatorio come delineato dal codice penale.

Questa Corte ha, in particolare, escluso la configurabilità di ipotesi di illegalità della pena in presenza di un trattamento sanzionatorio complessivamente legittimo, anche se frutto di un percorso argomentativo viziato, con conseguente possibilità che, in tal caso, essa stessa riconduca direttamente nei limiti legali la sanzione inflitta, ribadendo che illegale deve ritenersi solo la pena diversa, per specie, da quella che la legge stabilisce per un determinato reato, ovvero inferiore o superiore, per quantità, ai relativi limiti edittali (Sez. 2, n. 12991 del 19/02/2013, Stagno e altri, Rv. 255197; Sez. 6, n. 32243 del 15/07/2014, P.G. in proc. Tanzi, Rv. 260326; Sez. 5, n. 8639 del 20/01/2016, De Paola e altri, Rv. 266080).

Con riferimento ad una pena inflitta contra legem è costante l'affermazione circa la rilevabilità d'ufficio in sede di giudizio di legittimità ex art. 609 c.p.p., comma 2, in presenza di ricorso inammissibile (con solo limite ostativo della tardività) dell'illegittima applicazione di una pena non più prevista dall'ordinamento (Sez. 4, n. 24661 del 20/04/2004, Rismondo, Rv. 228962), ovvero non irrogabile per legge (Sez. 2, n. 22136 del 19/02/2013, Nisi e altro, Rv. 255729); "ab origine" contraria all'assetto normativo vigente al momento consumativo del reato (Sez. 5, n. 46122 del 13/06/2014, Oguekemma, Rv. 262108; Sez. 3, n. 6997 del 22/11/2017,C, Rv. 272090), o, ancora, affetta da illegalità sopravvenuta determinata da una modifica normativa incidente in maniera rilevante sui limiti sanzionatori edittali sia minimi sia massimi (Sez. 4, n. 27600 del 13/03/2014, Buonocore, Rv. 259368; n. 41820 del 02/07/2014, Diop, Rv. 260636); conseguente a dichiarazione di incostituzionalità di norme riguardanti il trattamento sanzionatorio (Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264207) ovvero di circostanze quali la recidiva obbligatoria di cui all'art. 99 c.p., comma 5, applicata in epoca antecedente alla sentenza della Corte costituzionale n. 185 del 2015 (Sez. 2, n. 37385 del 21/06/2016, Arena, Rv. 267912); derivante dalla erronea applicazione, da parte del Tribunale, delle sanzioni previste dagli artt. 22 c.p. e ss. in luogo di quelle previste dal D.Lgs. n. 274 del 2000, artt. 52 e ss., (Sez. 5, n. 552 del 07/07/2016, Jomle, Rv. 268593; n. 51726 del 12/10/2016, Sale, Rv. 268639). Inoltre, l'illegalità della pena, derivante da palese errore giuridico o materiale da parte del giudice della cognizione, privo di argomentata valutazione, ove non sia rilevabile d'ufficio in sede di legittimità per tardività del ricorso, è comunque deducibile davanti al giudice dell'esecuzione, adito ai sensi dell'art. 666 c.p.p. (Sez. U, n. 47766 del 26/06/2015, Butera e altro, Rv. 265108).

I richiamati indirizzi interpretativi sono espressione del principio di legalità che informa l'intero ordinamento giuridico penale e trova ulteriore conferma nell'art. 7 CEDU, il quale deve ritenersi operante non solo con riferimento alla norma incriminatrice penale, ma anche alla sanzione ad esso collegata, risultando incompatibile con il precetto costituzionale dell'art. 25, comma 2, una pena non prevista dall'ordinamento o determinata in contrasto con il dato normativo. Inoltre, come sottolineato da Sez. U. n. 18821/2013, Ercolano, la conformità a legge della pena deve essere costantemente garantita dal momento della sua irrogazione fino a quello della sua esecuzione, principio che giustifica l'affermata cedevolezza del giudicato a fronte di eventi giuridici, quali la dichiarazione d'incostituzionalità di norme sanzionatorie, cui accede la necessità di ricomposizione dell'apparato afflittivo in ipotesi d'illegalità sopravvenuta della pena.

5. La giurisprudenza di legittimità ha recentemente affermato che l'accesso al patteggiamento allargato nei casi non consentiti di cui all'art. 444 c.p.p., comma 1 bis, integra un'ipotesi di pena illegale, con la conseguenza che avverso la sentenza è ammissibile il ricorso per cassazione ai sensi del novellato art. 448 c.p.p., comma 2bis (Sez. 6, n. 3828 del 10/01/2019, PG Taha Bouzekri, Rv. 274981; nello stesso senso Sez. 2, n. 54958 del 11/10/2017, P.G., D'Onofrio, Rv. 271526). Si è, infatti, osservato, che alle norme del codice di procedura che disciplinano i riti premiali nella parte relativa alla previsione di riduzioni di pena deve riconoscersi natura sostanzialmente sanzionatoria, anche alla luce delle valutazioni espresse dalla Corte EDU nella sentenza della Grande Camera del 17/9/2009 nel caso Scoppola c/ Italia in relazione al giudizio abbreviato. In detta prospettiva l'illegalità della pena deve essere apprezzata tenendo presenti tutti i limiti che influiscono nella sua concreta determinazione, la cui violazione si presti ad essere qualificata come contraria al dettato normativo. Si è evidenziato, tuttavia, che il controllo di legittimità incontra il limite costituito dal divieto di reformatio in peius dato che nel giudizio di legittimità, l'illegalità "ab origine" della pena, inflitta in senso favorevole all'imputato, può essere corretta solo in presenza di specifico motivo di gravame da parte del pubblico ministero, essendo limitato il potere di intervento d'ufficio ai soli casi nei quali l'errore sia avvenuto in danno dell'imputato (Sez. 5, n. 44897 del 30/09/2015, Galiza Lima, Rv. 265529; Cass. Sez. 6, n. 49858 del 20/11/2013 Rv. 257672).

6. In esito all'excursus che precede, osserva la Corte che, nella specie, alla luce dei principi richiamati dalla sentenza Jazouli in tema di pena illegale e tenuto conto del contenuto precettivo dell'art. 7 CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo (sul punto Sez. U, n. 34472 del 19/04/2012, Ercolano, Rv. 252934) l'erronea ammissione al rito per effetto dell'omessa considerazione della preclusione stabilita per i recidivi qualificati dall'art. 444 c.p.p., comma 1 bis, non ridonda in termini necessitati sulla natura della pena, che risulta correttamente determinata in relazione alla forbice edittale del delitto di rapina aggravata in esito al giudizio di comparazione, al successivo aumento a titolo di continuazione e alla riduzione per il rito. L'illegalità non connota, dunque, la determinazione della sanzione in senso proprio sibbene le condizioni d'accesso che escludono la premialità ove la pena concordata superi i due anni, soli o congiunti a pena pecuniaria, in relazione alle specifiche categorie di delitti previste dall'art. 444, comma 1 bis, ovvero a soggetti dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza o, ancora, recidivi ex art. 99 c.p., comma 4. Tanto si evince in primo luogo dal dato testuale della norma di cui al comma 1 bis che "esclude" l'operatività dell'istituto dell'applicazione della pena nelle ipotesi ivi contemplate, delimitandone ab estrinseco i presupposti, la cui violazione, pertanto, si riflette solo indirettamente sulla misura della pena per effetto del riconoscimento della diminuente premiale.

AI fine della delimitazione dell'area d'impugnabilità della sentenza ex art. 444 c.p.p. alla luce del tassativo catalogo enunziato all'art. 448 c.p.p., comma 2bis, appare, pertanto, controvertibile la sussunzione nell'area dell'illegalità della pena delle violazioni che concernono i limiti oggettivi e soggettivi che restringono l'area di accesso al rito, non risultando all'uopo dirimente il richiamo alla giurisprudenza CEDU circa la natura sostanziale delle norme a carattere premiale. Invero, alla stregua delle cospicua elaborazione giurisprudenziale sul tema deve ritenersi che l'illegalità della pena postuli come tratto qualificante un difetto di corrispondenza, qualitativo o quantitativo, tra la previsione sanzionatoria e il trattamento in concreto inflitto che rende quest'ultimo contrario al dettato della legge sicchè l'estensione interpretativa finalizzata a ricondurvi violazioni di altra e diversa natura, prodromiche e strumentali rispetto alla determinazione della pena, appare dubbia.

7. Per altro verso e ai fini della rilevabilità d'ufficio del vizio, deve osservarsi come l'orientamento che assume la ricorrenza di un'ipotesi di pena illegale in presenza di pena patteggiata in violazione dell'art. 444 c.p.p., comma 1 bis, evocando la necessaria pervasività del controllo sulla legalità della sanzione demandato alla Corte Suprema, riconosce, tuttavia, che tale controllo incontra il limite costituito dal divieto di reformatio in peius che in caso di illegalità ab origine della pena, inflitta in senso favorevole all'imputato, può essere superato solo in presenza di specifico motivo di gravame da parte del pubblico ministero (così Sez. 2, n. 54958 del 11/10/2017, P.G., D'Onofrio, Rv. 271526; Sez. 5, n. 44897 del 30/09/2015, Galiza Lima, Rv. 265529; Cass. Sez. 6, n. 49858 del 20/11/2013 Rv. 257672).

Detta considerazione introduce al tema dell'interesse a ricorrere del prevenuto, avendo in più occasioni la giurisprudenza di legittimità evidenziato che è inammissibile il ricorso proposto dall'imputato avverso la sentenza di applicazione della pena, sul presupposto dell'inapplicabilità del c.d. patteggiamento allargato in ragione della contestata recidiva reiterata, specifica, infraquinquennale qualora l'imputato non indichi nel ricorso lo specifico interesse all'annullamento della sentenza (Sez. 4, n. 40060 del 21/06/2012, Broccolato, Rv. 253722; Sez. 2, n. 31048 del 13/06/2013, Marinelli, Rv. 257066; Sez. 3, n. 49204 del 07/10/2014, M., Rv. 261207), posizione che declina il più generale principio che vieta al giudice dell'impugnazione, in mancanza di uno specifico motivo di gravame da parte del pubblico ministero, di modificare la sentenza che abbia inflitto una pena illegale di maggior favore per il reo (Sez. 3, n. 34139 del 07/06/2018, Xhixha, Rv. 273677).

7.1 Questa Corte ha da tempo chiarito che l'interesse richiesto dall'art. 568 c.p.p., comma 4, quale condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione, deve essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l'eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l'impugnante rispetto a quella esistente; pertanto può ritenersi la sussistenza di un interesse concreto ad ottenere l'esatta applicazione della legge solo quando da tale violazione sia derivata una lesione dei diritti che si intendono tutelare e nel nuovo giudizio possa ipoteticamente raggiungersi un risultato non solo teoricamente corretto, ma anche praticamente favorevole (Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, P.M. in proc. Timpani, Rv. 203093; da ultimo, Sez. 6, n. 17686 del 07/04/2016,Conte, Rv. 267172; Sez. 5, n. 40822 del 15/06/2017, P.g. in proc. C., Rv. 271424).

Non esiste, dunque, un interesse in senso assoluto delle parti alla correttezza tecnico-giuridica delle decisioni che li riguardano, dovendo l'interesse ad impugnare tradursi nella concreta possibilità di conseguire - dalla riforma o dall'annullamento del provvedimento censurato - un plausibile vantaggio.

Nel caso di specie la difesa del ricorrente nulla argomenta al riguardo, essendosi limitata alla testuale e pedissequa riproduzione della motivazione della sentenza Sez. 2, n. 54958 del 11/10/2017, P.G., D'Onofrio, Rv. 271526, pagg. 3 e 4, par. 2.1 e 2.2 (con la sola eccezione dell'ultimo periodo). Pertanto, avendo il prevenuto chiesto l'accesso al patteggiamento tramite il difensore in veste di procuratore speciale e beneficiato di un trattamento di assoluto favore in ragione della ratifica di un accordo non consentito, dello stesso egli non ha interesse a dolersi.

8. Alla stregua delle considerazioni che precedono deve pervenirsi a declaratoria d'inammissibilità del ricorso con condanna del proponente al pagamento delle spese processuali e della sanzione precisata in dispositivo, non ravvisandosi ragioni d'esonero.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 19 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2019
Avv. Antonino Sugamele

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